Covid, Remuzzi: “la comunità scientifica ha un’enorme responsabilità nel disastro di questi 2 anni”

Il direttore dell'Istituto Mario Negri: "abbiamo perso tempo, abbiamo perso almeno quelle quattro settimane che poi furono fatali alla mia Bergamo"
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Ho avuto paura“, “cominciai a dormire con due antinfiammatori, sul comodino. Li ho presi un sacco di volte, appena avvertivo qualche fastidio, oppure se ero stato vicino a persone contagiate“. Il 27 dicembre 2020, quando ad Alzano Lombardo fece il vaccino per primo, “provai una sensazione di grande privilegio, della quale quasi mi vergognavo. Pensai alle migliaia di persone che si sono prestate a testare il vaccino, quando ancora non si sapeva nulla della sua efficacia. Hanno rischiato senza avere alcuna certezza. Sono gli eroi sconosciuti della pandemia” ed ora “il virus rimarrà con noi per tanti anni, ma stiamo andando verso la fine della pandemia“: è quanto ha affermato Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, in un’intervista al Corriere della Sera, a due anni dallo scoppio della pandemia di SARS-CoV-2.
Remuzzi tiene sulla sua scrivania una copia dello studio pubblicato il 24 gennaio del 2020 su Lancet: “Gli autori erano un gruppo di colleghi cinesi che avevano studiato i pazienti infettati da un nuovo Coronavirus a Wuhan. Diceva già tutto quel che sarebbe successo” e quando lo ha letto, ha confessato, ha avuto la reazione che avevano avuto “tutti: chissà se è vero, e comunque non arriverà mai da noi. Non ci abbiamo creduto” ed “è un rimorso che mi porterò dentro per sempre. La comunità scientifica, della quale faccio parte, ha una enorme responsabilità nel disastro di questi due anni“, “nel giro al massimo di settantadue ore avremmo dovuto dare vita a una mobilitazione, avvertire le autorità, fare sentire la nostra voce, parlare con i singoli ricercatori. Invece, abbiamo perso tempo, abbiamo perso almeno quelle quattro settimane che poi furono fatali alla mia Bergamo“, “a un certo punto, dissi a uno dei miei più cari amici: qui moriamo tutti. Sembra una esagerazione, con il senno di poi. Ma così ci si sentiva a Bergamo in quei giorni“, “so cosa vuole dire fare due notti di fila in ospedale. Quando sei stanco, e speri solo che non arrivi un altro paziente. Invece le sirene suonavano in continuazione, non finiva mai“.
Nonostante le conoscenze tecniche che stavamo immagazzinando, eravamo ben lontani da una corretta percezione della realtà,” ha spiegato Remuzzi. Inoltre “non accetterei più l’invito” a quei talk show in cui “si contribuisce solo a diffondere disinformazione” e definisce un “errore” l’aver firmato il documento del giugno sull’indebolimento del virus: “Non fu una mia iniziativa, non ero tanto convinto di firmare, ma le critiche furono ingiuste. Si fotografava una situazione“.

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