La frana che ha interessato il centro storico di San Calogero (VV), lo scorso 17 Febbraio, “ha sconvolto una comunità intera, interrompendo la strada principale di collegamento all’abitato e alcune infrastrutture a rete, con distruzione di manufatti.
Diverse famiglie hanno dovuto prudenzialmente abbandonare le proprie abitazioni, ubicate nel settore di coronamento ed esposte alla possibile evoluzione retrogressiva della scarpata principale. I problemi di precaria stabilità del margine dell’abitato, in corrispondenza del settore recentemente collassato, erano noti da tempo – come peraltro riportato nel Piano stralcio di Assetto Idrogeologico della Calabria (PAI-Calabria, risalente al 2001),” è quanto afferma in una nota l’Ordine dei Geologi della Calabria.
“Occorre mantenere alta l’attenzione su questo episodio, “fortunosamente” privo di vittime, per sostenere la comunità locale nel ritorno alla normalità, e lavorare affinché altri casi analoghi non facciano danni, perfino più seri, in altre parti della Regione,” spiega il presidente dell’Ordine dei Geologi della Calabria, Giulio Iovine.
Mercoledì scorso proprio il Presidente Iovine insieme alla Consigliera dell’Ordine dei Geologi Teti, si è recato nuovamente sul posto per effettuare rilievi e verificare le condizioni evolutive del fenomeno franoso.
“Il sopralluogo ha peraltro consentito un proficuo confronto con tecnici locali ed esponenti della Protezione Civile regionale, impegnati in fondamentali attività di prospezione e monitoraggio. Nell’occasione, si è ritenuto di manifestare solidarietà alla popolazione, nonché offrire all’Amministrazione comunale la massima disponibilità della categoria professionale per un supporto tecnico, non limitato alla fase d’emergenza – afferma Iovine -. L’attuale momento di grave difficoltà per la popolazione evidenzia, ancora una volta, l’urgente necessità di adeguate conoscenze sulle problematiche di instabilità del territorio regionale, e più in generale delle tematiche di prevenzione e mitigazione dei rischi naturali. Il PAI-Calabria resta, tristemente, al palo a oltre 20 anni dalla sua prima realizzazione, a dispetto di alcuni tentativi abortiti di aggiornamento. Non rimane che auspicare che gli sforzi in atto, coordinati dall’Autorità di Distretto dell’Appennino Meridionale (AdDAM), abbiano maggiore fortuna dei precedenti, e che siano ispirati a rigore metodologico e consolidate conoscenze tecnico-scientifiche“.
Trattandosi di questioni inerenti alla cartografia tematica e alla pianificazione di bacino rispetto al dissesto geo-idrologico, “appare rilevante la peculiarità delle competenze necessarie per il coordinamento e l’esecuzione delle attività necessarie a sortire un prodotto di qualità, che avrà inevitabilmente un forte impatto socio-economico nel medio-termine (come già accaduto con la versione 2001),” si precisa nella nota.
“Occorrerebbero, pertanto, competenze, risorse umane, finanziamenti e tempi adeguati. Il PAI-Calabria fu redatto – con i limiti che scontiamo ancora oggi – soltanto dopo le ennesime sciagure di Sarno, Soverato, e qualche alluvione padana, tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo millennio – continua Iovine -. In mancanza di tali disastri, i Piani previsti dalla L.183 / 1989 avrebbero certamente tardato a veder la luce ancora per un bel pezzo. Nella loro realizzazione, malgrado indicazioni d’indirizzo predisposte a livello nazionale, ciascuna Autorità di Bacino seguì una propria impostazione metodologica, col risultato di ottenere prodotti eterogenei (con varie luci e troppe ombre). La redazione dei PAI costituì, comunque, un netto passo avanti rispetto alla situazione precedente – e per questo occorrerà sempre esser grati al Prof. Giulio De Marchi e ai membri dell’omonima Commissione Interministeriale che aveva concluso i lavori già nel 1970. Sarebbe ora di riflettere più seriamente sull’importanza di affrontare simili questioni per tempo, con le dovute risorse e coinvolgendo le migliori competenze disponibili. Rispetto all’impresa originaria del PAI-Calabria 2001, i tentativi successivi per la redazione o l’aggiornamento di strumenti di pianificazione in tema di rischio geo-idrologico sembrano aver risentito eccessivamente di carenze d’organico, scarsi finanziamenti, e scadenze sempre stringenti“.
A confronto con le attività svolte venti anni or sono, “le iniziative attuate negli ultimi anni (incluse quelle attualmente in corso) non brillano certo per l’ampio coinvolgimento della comunità scientifica e professionale, né per la trasparenza. Considerati i tristi risultati maturati nell’ultimo ventennio (inclusi il fallimento del PAI 2016 e lo stato di incertezza cronica che aleggia intorno al PGRA), un simile approccio non può che alimentare forti preoccupazioni,” rileva la nota. “Sarebbe ora di aggiornare i Piani secondo le frequenze previste dalla legge, passando finalmente dalla retorica alla pratica della Prevenzione, secondo un’interpretazione più genuina della L.225/1992. Sarebbe ora di rendere chiaramente accessibile la documentazione riguardante il PAI e altri strumenti analoghi, organizzando i livelli tematici in modo da poter consultare in un’unica fonte (es. un unico shapefile) le informazioni riguardanti un dato settore di interesse – aggiornate e geo-riferite correttamente – senza costringere i tecnici a girovagare nei meandri delle cartelle del portale istituzionale AdDAM, che rimanda a decine di documenti, spesso neanche corredati di cartografia (con il rischio che qualcosa possa sfuggire al professionista, e di conseguenza si possano contare perfino delle vittime) – conclude il Presidente -. Per quanto attiene il livello regionale, la recente soppressione (accompagnata dalla solita proroga all’italiana) delle Autorità di Bacino per la riorganizzazione in Autorità di Distretto avrebbe dovuto essere accompagnata, quantomeno in Calabria, dalla costituzione di un nutrito gruppo di lavoro regionale per garantire un raccordo con l’AdDAM (la cui sede è posta in Terra di Lavoro) e un’efficace gestione delle pratiche. Altrettanto urgente appare il potenziamento di altri settori essenziali per una corretta gestione dei rischi naturali – non ultima, la struttura dedicata alle problematiche di microzonazione sismica (perché trascurare il problema “terremoto”, qui in Calabria più che altrove, non è una scelta molto saggia)“.
L’Ordine dei Geologi della Calabria chiede, da tempo, “la costituzione del Servizio Geologico regionale e il rilancio del Centro Cartografico, per offrire finalmente supporto tecnico e dati territoriali accurati e aggiornati. Grazie anche al concreto coinvolgimento degli Ordini professionali nelle attività di programmazione, si potrebbero così gettare le premesse per una seria attività di mitigazione dei rischi naturali. Aspettiamo, quindi, fiduciosi qualche segnale concreto di inversione di rotta“.