Per i ristoratori la ripresa è ancora rimandata: per 6 imprese su 10 il ritorno ai fatturati pre-Covid non arriverà prima del 2023. Prosegue l’emergenza occupazionale, con 194mila professionisti di bar e ristoranti persi nel periodo della pandemia. Quello che avrebbe dovuto essere l’anno della ripartenza, il 2021, non ha mantenuto la promessa e, infatti, secondo il “Rapporto 2021 di Fipe-Confcommercio”, il 71% degli imprenditori ha registrato un calo rilevante del volume di affari rispetto al 2020 a causa delle lunghe limitazioni con conseguente contrazione dei consumi.
Per il Direttore di Confcommercio Reggio Calabria Fabio Giubilo «mentre ancora affrontiamo l’emergenza Covid, il conflitto in Ucraina ha generato un’impennata dei costi di materie prime ed energia che paralizza il settore. Le imprese della ristorazione continuano a sostenere quasi integralmente il costo della crisi con aumenti assai contenuti dei prezzi ai consumatori: di fronte ad un aumento dei listini da parte dei fornitori che oscilla tra il 10 ed il 25% e ad un valore generale dei prezzi aumentato del 5,7%, nel febbraio 2022 lo scontrino medio è salito del 3%. Con l’aumento vertiginoso dei costi di gestione si riducono le previsioni di crescita, tanto che oltre il 60% delle imprese della ristorazione ritiene verosimile un ritorno ai livelli pre-crisi solo nel 2023. Incertezza che si acuisce a causa della minore propensione degli italiani a spendere in bar e ristoranti dovuta principalmente, secondo il 43% degli imprenditori, agli effetti del carovita e al perdurare di un indice di fiducia negativo. In provincia di Reggio Calabria – continua Giubilo – nel 2021 il comparto che conta 2887 imprese attive ed impiega 3762 lavoratori dipendenti, nonostante le difficoltà ed in ragione delle agevolazioni di legge, ha complessivamente “tenuto” registrando un saldo negativo (differenza tra imprese iscritte, 78, e cessate, 116) di “solo” 38 imprese».
È il Presidente di Confcommercio Lorenzo Labate a dare una lettura critica delle prospettive del comparto nella Provincia alla luce dell’imminente termine dello stato di emergenza e di un ritorno alla normalità che purtroppo il Governo «sta attuando solo sul versante dei doveri e degli obblighi ma non dei diritti dei ristoratori. Di fronte allo scenario che viviamo ed alle conseguenze legate al conflitto in corso – dichiara Labate – abbiamo delle perplessità sul fatto che l’eliminazione del Green Pass connessa alla fine dello stato di emergenza, giustamente prevista in molti ambiti (uffici pubblici, negozi, banche, hotel, parrucchieri, mezzi pubblici), ha escluso la ristorazione al chiuso. Imporre questo impegno per altri 30 giorni ai gestori dei locali, con l’inizio della primavera e con la Pasqua alle porte, non ha più alcuna giustificazione. Questo è ancora più vero considerato che sui pagamenti del canone di occupazione suolo, imposte e rateizzazioni sono venute meno tutte le forme di agevolazione e tutto è tornato come prima dell’emergenza covid».
«Siamo stati in prima linea nel sostenere campagna vaccinale e Green Pass – conclude Labate – ma oggi occorre prendere atto dello stato del settore e agire di conseguenza. Le scelte devono essere coerenti e in questo caso quelle adottate dal Governo non sembrano tali anche solo vedendo la disparità di trattamento riservata ai ristoranti rispetto ai servizi di ristorazione degli alberghi esclusi, questi ultimi, dall’obbligo di verifica del certificato verde. Se questa è stata la strada individuata dal Governo, è chiaro che a fronte di provvedimenti di restrizione devono seguire adeguate compensazioni economiche. Servono provvedimenti urgenti e servono subito anche a costo di un ennesimo scostamento di bilancio».