Nel 2020, in Italia, circa 3 cittadini su 10 hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici e in media ogni paziente è stato in trattamento per circa 14 giorni nel corso dell’anno: è quanto emerge dal rapporto nazionale 2020 “L’uso degli antibiotici in Italia” dell’AIFA, l’Agenzia italiana del farmaco, presentato oggi a Roma.
Quanto alle fasce di età e genere, la prevalenza d’uso aumenta all’avanzare dell’età, superando il 50% nella popolazione ultra85enne. Si conferma un maggior consumo di antibiotici nelle fasce estreme, in cui si registra anche un più frequente utilizzo per gli uomini, mentre la maggior prevalenza d’uso nelle donne si riscontra nelle fasce di età intermedie.
Registrato calo generale dell’utilizzo di antibiotici in Italia durante la pandemia di Covid-19, infezione virale causata dal coronavirus Sars-CoV-2, quindi non diretto bersaglio di questo tipo di farmaci come invece le malattie batteriche. Fa eccezione solo l’azitromicina, con un boom degli acquisti da parte degli ospedali che al Nord del Paese ha sfiorato nella prima metà del 2020 il +200%, e un aumento dell’acquisto privato di oltre un terzo nell’intero 2020. Si tratta dell’antibiotico finito sotto i riflettori delle cronache nel gennaio scorso perché diventato introvabile, producendo un allarme carenza che ha costretto l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) a ribadire come “nessun antibiotico è approvato, né tantomeno raccomandato, per il trattamento di Covid-19“.
L’uso degli antibiotici nell’ambito dell’assistenza convenzionata, cioè prevalentemente riferito alla prescrizione da parte dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, nel primo semestre 2021 – viene sintetizzato nel report – è stato pari a 10,5 dosi definite giornaliere ogni mille abitanti al giorno (Ddd/1.000 ab die), in riduzione del 21,2% rispetto al primo semestre del 2020. Dalla valutazione dell’andamento mensile nel periodo da gennaio 2019 ad agosto 2021, si rilevano in tutti i mesi del 2020 consumi minori rispetto al 2019, con differenze più accentuate nel periodo aprile-giugno (caratterizzato nel 2020 da lockdown) e a dicembre (mese in cui sono state potenziate le misure per ridurre gli spostamenti tra regioni). I consumi dei primi 8 mesi del 2021 appaiono molto simili a quelli di fine anno 2020, con una media mensile di 10,2 Ddd, un livello minimo di 9,6 Ddd nei mesi di maggio e agosto e un massimo di 12,1 Ddd registrato a marzo.
In riferimento all’azitromicina, dal rapporto risulta che nell’ambito dell’assistenza convenzionata è l’unico principio attivo, insieme alla fosfomicina, per cui i consumi complessivi del 2020 (1,3 Ddd/1.000 ab die) non sono diminuiti rispetto al 2019. Passando all’analisi dell’acquisto privato, da parte dei cittadini, mostra un incremento dei consumi del 33,3% rispetto al 2019, che pone l’azitromicina al terzo posto per consumo con 0,4 Ddd/1.000 ab die. L’acquisto privato di questo antibiotico, si precisa nel report, costituisce un quarto del consumo totale. Relativamente poi agli acquisti diretti, quelli da parte delle strutture sanitarie pubbliche, nel primo semestre 2020, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sono stati registrati notevoli incrementi nell’uso di azitromicina, più elevati al Nord (+192,0%) e al Sud (+145,6%) rispetto al Centro (+69,1%), a cui si aggiungono quelli registrati nel secondo semestre 2020. Al contrario, nel primo semestre 2021 i consumi hanno registrato una tendenza in riduzione rispetto allo stesso periodo del 2020. “Tali andamenti – si precisa nel report – sono stati registrati nonostante la pubblicazione della scheda informativa AIFA ad aprile 2020, poi aggiornata a maggio, che ha stabilito che l’uso di tale antibiotico per indicazioni diverse da quelle registrate doveva essere considerato esclusivamente nell’ambito di studi clinici randomizzati e in caso di eventuali sovrapposizioni batteriche“.
In Italia gli antibiotici vengono prescritti in modo inappropriato in un quarto dei casi, secondo il report. Un impiego rischioso, specie alla luce della crescente emergenza legata ai ‘superbatteri’ resistenti, e che risulta in crescita. Dall’analisi dei dati della medicina generale sulle prescrizioni ambulatoriali di antibiotici per specifiche patologie infettive – viene sintetizzato nel report – è emersa una prevalenza di uso inappropriato che supera il 25% per quasi tutte le condizioni cliniche studiate (influenza, raffreddore comune, laringotracheite, faringite e tonsillite, cistite non complicata). Nel 2020 le stime osservate sono tutte in aumento rispetto all’anno precedente, in modo più evidente per la cistite non complicata nelle donne, a eccezione delle infezioni delle prime vie respiratorie, per le quali si osserva una riduzione della prevalenza di uso inappropriato. Il trend appare significativo specie considerando il fatto che, “per quanto concerne l’utilizzo di antibiotici in Italia – si evidenzia nel rapporto – una quota rilevante, pari a oltre l’80%, viene prescritta proprio dai medici di medicina generale. La medicina generale rappresenta pertanto il fulcro per il monitoraggio del consumo di questa classe di farmaci, nonché il setting su cui è importante agire per migliorare l’appropriatezza prescrittiva. Tutto ciò è di fondamentale importanza per ridurre i rischi connessi alla salute pubblica. Difatti – ammonisce l’AIFA – l’uso non appropriato di antibiotici, oltre a esporre i soggetti a inutili rischi derivanti dai loro effetti collaterali, comporta considerevoli problematiche cliniche derivanti dal possibile sviluppo di resistenze“.
In Italia il consumo di antibiotici è superiore rispetto alla media europea, sia a livello territoriale che ospedaliero, si spiega nel rapporto. I consumi di antibiotici nel nostro Paese sono stati confrontati con quelli degli altri Stati europei e del Regno Unito utilizzando come fonte la Rete europea di sorveglianza del consumo degli antimicrobici (Esac-net), coordinata dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), che include sia l’erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale sia gli acquisti a carico del cittadino. Nel 2020 – si legge nel report – si osserva una marcata contrazione dei consumi territoriali di antibiotici in tutti i Paesi Ue/See (Spazio economico europeo), a eccezione della Bulgaria, con un -18,1% rispetto al 2019 a 14,7 dosi definite giornaliere ogni mille abitanti al giorno (Ddd/1.000 ab die). Tale andamento può essere spiegato dalle misure messe in atto per il contenimento della pandemia di Covid-19 e al loro impatto sulla circolazione degli agenti infettivi. In Italia il consumo territoriale è superiore alla media europea, anche se in forte contrazione rispetto all’anno precedente. Siamo al nono posto, con 16,5 Ddd/1.000 ab die. Considerando le diverse categorie di antibiotici, la Penisola si colloca al di sopra della media Ue/See per penicilline, macrolidi e lincosamidi. A livello ospedaliero, nel 2020 rispetto al 2019 il consumo medio Ue/See è sceso invece dell’11,8% a 1,57 Ddd/1.000 ab die. In questo ambito, l’Italia registra un valore di poco superiore alla media europea, anche se in leggero aumento rispetto al 2019. Siamo al sesto posto con un consumo pari a 1,91 Ddd/1.000 ab die. Le categorie di antibiotici per i quali si osservano i maggiori scostamenti con consumi superiori alla media sono sulfonamidi e trimetoprim, macrolidi e lincosamidi e fluorochinoloni.