Il terremoto dell’Appennino romagnolo del 22 marzo 1661

Il terremoto che colpì l'Appennino il 22 marzo 1661 non fu una scossa isolata, ma solo la prima di un periodo sismico che si protrasse per circa 40 giorni
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Intorno alle 12:45 UTC del 22 marzo 1661, un terremoto di magnitudo pari a circa 6.1 (stima da dati macrosismici) interessò un’area dell’Appennino tosco-romagnolo di circa 570 kmq, compresa fra le vallate dei fiumi Montone, Bidente, Rabbi e parte della valle del Senio (Figura 1). La scossa, con epicentro tra Rocca San Casciano (FC)Galeata (FC) e Civitella di Romagna (FC), fu distintamente avvertita anche in centri più distanti dall’epicentro come Bologna, Firenze, Correggio (RE) e Ferrara, dove però fortunatamente non causò alcun danno.

Figura 1. Area interessata dal terremoto del 22 marzo 1661

Purtroppo non fu una scossa isolata, ma solo la prima di un periodo sismico che si protrasse per circa 40 giorni. Nonostante non sia stato possibile ricostruire la cronologia dettagliata della sequenza sismica, poiché le fonti reperite non indicano la data delle varie scosse, si ha la certezza che almeno altre due scosse forti avvennero  nel mese di aprile: una il 7, alle 13:10 GMT, e l’altra il 30, ad un orario imprecisato.

Il terremoto del 22 marzo 1661 non è stato l’unico evento forte ad aver interessato quest’area dell’Appennino tosco-romagnolo; al contrario, sono stati diversi quelli con un’intensità massima maggiore del VI grado della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg) avvenuti nel corso dei secoli.  Il tool online per il confronto tra terremoti disponibile sul portale del CFTILab consente ad esempio di confrontare il terremoto in oggetto con quello del 10 novembre 1918 – anche noto come “terremoto di Santa Sofia” – il cui epicentro apparentemente dista circa 10 km da quello dell’evento del 1661 (Figura 2).  Anche la magnitudo e l’intensità dei due eventi sono paragonabili: magnitudo 6.1 e 5.9, e intensità massima pari al X e al IX grado MCS, rispettivamente per il 1661 e per il 1918.

Un altro evento che per intensità e localizzazione epicentrale può essere inserito nel confronto appena descritto, è la scossa del 19 ottobre 1768. In questo terremoto la magnitudo fu pari a 5.9 e intensità massima pari al IX grado MCS.

Figura 2. Confronto tra l’area interessata dal terremoto del 22 marzo 1661, a sinistra, e quella colpita dalla scossa del 10 novembre 1918, a destra

Gli effetti del terremoto

Nella zona epicentrale del terremoto del 1661 i danni furono disastrosi e raggiunsero valori di intensità stimati del X grado della scala MCS. Gli effetti più gravi furono rilevati a Rocca San Casciano, dove crollarono la quasi totalità delle abitazioni, mentre le poche rimaste in piedi furono danneggiate gravemente e rese parzialmente inagibili. Crollarono pressoché totalmente anche la chiesa madre di S.Cassiano, la chiesa di S.Maria delle Lacrime e la chiesa della Compagnia. Nonostante la loro solidità e buona struttura, anche le mura di cinta della rocca subirono spaccature, e fu gravemente lesionato il maschio centrale al cui interno si trovava la residenza del podestà. A Galeata, il secondo centro più colpito, crollarono più della metà delle case, e le poche rimaste in piedi furono gravemente danneggiate e dovettero essere puntellate. Gli edifici ecclesiastici più danneggiati  furono la chiesa arcipretale di S.Pietro e la chiesa di S.Rocco, che crollarono parzialmente. A Civitella di Romagna vi fu il crollo quasi completo dell’abitato: caddero anche la rocca, le case e le chiese, sia nel paese che nel contado.

In molte altre località vi furono danni ingenti, con crolli totali o parziali delle abitazioni, anche a Cesena, Faenza e Forlì, i centri principali dell’area pedeappenninica, ci furono danni consistenti sia a edifici pubblici che privati. Purtroppo i danni causati dalla violenta scossa furono amplificati dal cattivo stato del patrimonio edilizio dei paesi dell’area colpita, caratterizzato da abitazioni strutturalmente molto deboli a causa dell’utilizzo di materiali di pessima qualità e di tecniche di costruzione inadeguate, come l’utilizzo di malte povere e di pareti sottili e sconnesse che non garantivano un’efficace resistenza sismica.

I disagi causati dal terremoto furono notevoli. La zona colpita dalla scossa rappresentava infatti un’area cruciale per i transiti commerciali fra i versanti toscano e romagnolo, ed era compresa in parte nel territorio del Granducato di Toscana e in parte nello Stato Pontificio. Per questo motivo sia il granduca di Toscana Ferdinando II, sia il papa Alessandro VII cercarono di attuare una politica di intervento nella zona colpita proponendo iniziative di diverso tipo.

Da parte papale vennero riproposte le misure messe tradizionalmente in atto in queste circostanze: l’esenzione dai pesi camerali e la possibilità, da parte delle classi più abbienti, di prendere  del denaro in prestito per la ricostruzione, pagando come interessi i pesi camerali stessi.

Da parte del granduca di Toscana invece, le iniziative per la ricostruzione furono più mirate, e si cercò di ovviare anche alle esigenze dei ceti meno abbienti. Ingegneri e tecnici del tempo prestarono servizio sul campo per valutare le opere di risanamento, smantellamento e ricostruzione, così da ripristinare il prima possibile le strade per i traffici commerciali che attraversavano l’area. Data la tragica situazione in cui versava il patrimonio edificato, Ferdinando II si trovò di fronte ad un reale rischio di spopolamento della zona, al quale rispose con l’emissione di un bando di confisca dei beni per chiunque avesse abbandonato i luoghi danneggiati. Fu inoltre calmierato il prezzo della manodopera, cresciuto esponenzialmente per via della richiesta, e furono stanziati fondi per le ricostruzioni. Tuttavia, ciò non bastò a evitare il forte indebitamento delle popolazioni, che si protrasse nei decenni successivi.

Per conoscere ulteriori dettagli sugli effetti di questo terremoto è possibile consultare la relativa pagina del CFTI5Med. Tale studio è il riferimento dell’attuale versione del Database Macrosismico Italiano (DBMI15), e quindi del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI15).

Le fonti storiche

Il terremoto risulta ben documentato nella tradizione sismologica già a partire dai cataloghi parametrici e descrittivi di fine Ottocento, ed è elencato anche nei più importanti repertori e cataloghi sismici. Nell’ambito delle ricerche che hanno portato alla compilazione del Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (CFTI5Med) oltre alla revisione della bibliografia nota è stata svolta una ricerca bibliografica e archivistica che ha consentito di integrare le notizie disponibili.

Alla definizione del quadro generale degli effetti hanno contribuito le informazioni contenute in numerose dettagliate storie locali coeve manoscritte e in relazioni a stampa redatte da religiosi e privati e conservate in archivi e biblioteche locali.

Poiché l’area colpita apparteneva a due amministrazioni diverse (Granducato di Toscana e Stato della Chiesa), la ricerca si è duplicata negli archivi di afferenza territoriale. Sono stati consultati da un lato l’Archivio di Stato di Roma, in cui si conserva la documentazione della Camera pontificia, che gestiva l’amministrazione dei beni e delle entrate della Chiesa, e da cui sono state apprese notizie sui provvedimenti a favore della comunità di Civitella di Romagna; dall’altro l’Archivio di Stato di Firenze, dove è stata reperita la documentazione istituzionale e amministrativa costituita da perizie, relazioni ufficiali di danni, suppliche, verbali e carteggi fiscali, che hanno consentito di ampliare l’area e il quadro degli effetti, ma anche di valutare molti elementi nel loro contesto economico.

Di particolare valore e interesse risulta la perizia, minuziosa e corredata da disegni, dell’aiuto ingegnere Ridolfo Giamberti (Figura 3), e la lettera di accompagnamento del provveditore generale delle fortezze Andrea Arrighetti al granduca, datate il 23 aprile 1661; entrambe forniscono notizie sui danni subiti dalle fortezze di Castrocaro, Terra del Sole e Monte Poggiolo e sul loro stato di conservazione prima del terremoto.

A questo proposito, non si può non essere colpiti dalla rapidità con cui l’amministrazione granducale procedette al rilievo dei danni per avere prima possibile il quadro della situazione. Mentre Giamberti in un mese periziò e disegnò i danni a tre piazzeforti poste al confine con lo Stato della Chiesa e quindi di interesse strategico per il governo dell’area, un altro perito Giovan Battista Pieratti, fu incaricato di fornire al granduca un quadro completo dell’area dell’Alta Romagna: non sappiamo quando egli partì da Firenze ma in meno di sei giorni compì un itinerario attraverso dodici località (da San Godenzo a Marradi, passando per Santa Sofia e Modigliana), tanto che il 28 marzo fu in grado di fornire esaustive informazioni sui danni nelle località visitate.

Figura 3. Disegno della Rocca di Castrocaro allegato alla relazione dell’aiuto ingegnere Ridolfo Giamberti inviata il 23 aprile 1661, appena un mese dopo il terremoto, al provveditore generale delle fortezze Andrea Arrighetti sui danni causati dal terremoto del 22 marzo 1661 nelle fortezze di Terra del Sole, Montepoggiolo e Castrocaro; lo stesso giorno Arrighetti spedì la relazione al granduca di Toscana. Nel disegno sono puntualmente rappresentati e indicati gli interventi necessari nell’edificio danneggiato: le parti da demolire (contraddistinte dalla lettera A) disegnate come semi crollate e i sei “sporti” (sporgenze, lettera B) pericolanti per le due lesioni verticali che li attraversano (Archivio di Stato di Firenze, Fabbriche granducali, filza 1928, n.55)

Effetti sull’ambiente

Terremoti di questa intensità e magnitudo hanno spesso un forte risentimento anche sul contesto naturale, oltre che sulle infrastrutture. Recenti approfondimenti di ricerca, realizzati nell’ambito della Convenzione DPC-INGV, a partire dall’archivio delle fonti storiche del CFTI e finalizzati all’individuazione di effetti sismo-indotti sull’ambiente non ancora noti, hanno riguardato anche questo evento, consentendo di mettere in evidenza che il terremoto del 22 marzo 1661 non fu un’eccezione. Gli effetti più notevoli e diffusi furono le spaccature nel terreno, di cui alcune anche molto estese, che interessarono alcune località come Galeata, Rocca San Casciano e i monti vicino a Pondo (FC). In alcuni casi, in corrispondenza di queste voragini ci furono anche fuoriuscite di acqua e di vapori maleodoranti, come avvenne a Pianetto (FC) dove, a circa 3,5 km dal paese, si aprì una spaccatura nel terreno dalla quale sgorgò tanta acqua da formare un piccolo lago.

Curiosità

L’analisi degli effetti sull’ambiente del terremoto del 1661 ha permesso di accertare, tra le altre cose, che in più località si verificò un effetto molto insolito dal punto di vista geologico:  la fuoriuscita di sassi da alcune fratture nel terreno. Il fenomeno fu riportato dal cronista Nicolò Tosetti nella Storia delle cose della città di Faenza dal 1601 al 1661 , in cui si legge che

lontano alla Rocca fece una apertura qual ha getato travertini e sassi grosissimi”.

A sua volta  il monaco Massimo Di Castro (1664) riportò che

da quelle si vede gettata fuori quantità di smisurate pietre, e sono quasi tutte l’aperture sudette (almeno le grandi) nella Montagna, e non nel Piano”.

Basandosi sulle descrizioni riportate in queste fonti dirette è possibile ipotizzare che, a seguito della creazione di un’apertura nel suolo, si siano manifestate delle particolari tipologie di liquefazioni del terreno: non in terreni sabbiosi come più frequentemente avviene, ma in un materiale ghiaioso o con una granulometria grossolana, meno comune per questo genere di effetto.

Per conoscere tutti gli studi e i cataloghi che trattano il terremoto descritto si rimanda all’Archivio Storico Macrosismico Italianohttps://emidius.mi.ingv.it/ASMI/event/16610322_1250_000

A cura di Sofia Baranello e Caterina Zei (INGV), con la collaborazione del gruppo di lavoro del CFTILab

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