Clima: la pandemia ci ha fatto fare “l’esperimento impossibile” ma non è andata come ci raccontavano

Sembrava che le limitazioni alle attività umane imposte dalla pandemia di Covid-19 potessero almeno frenare il cambiamento climatico. Invece non è così...
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Di Riccardo Magnani – Desidero attirare la vostra attenzione su una questione che, a causa di un continuo e quotidiano bombardamento di informazioni sui cambiamenti climatici, il riscaldamento globale e le loro catastrofiche conseguenze, rischia di perdersi nel gran calderone delle notizie che ci vengono offerte.

Chi divulga questo pensiero unico, purtroppo, non ammette contradditori e così le idee che vanno per la maggiore, vengono riportate dai giornali che fanno da cassa di risonanza per un pubblico desideroso di risposte semplici e chiare. Frasi come riscaldamento globale, cambiamenti del clima, sono comprensibili da tutti purché non si entri nei dettagli tecnici. E’ così che si va a formare quel consenso di massa che sostiene il lavoro dell’ IPPC (Intergovernmental Panel on Climate Change).

L’IPCC è un organismo scientifico che passa in rassegna e valuta le più recenti informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche pubblicate a livello mondiale per riuscire a capire il cambiamento climatico. Forse non lo sapete ma l’IPCC non fa attività di ricerca e non controlla i parametri climatici. Si limita a estrapolare dalle riviste scientifiche gli articoli più interessanti (a parere loro) e che sostengono (lo dico io) la loro ipotesi sulle cause. Possiamo già dire che, fin dall’inizio di questa guerra ai cambiamenti climatici, il colpevole era già stato individuato e condannato senza appello. Bisognava solo esibire le prove. Il processo, prima ancora che scientifico presentava un risvolto politico: lotta al carbone, al petrolio, alle acciaierie, ai cementifici.

Ma procediamo con calma.

La CO2, chiamata anidride carbonica o meglio Biossido di Carbonio è andata subito sul banco degli imputati essendo un gas ad effetto serra. In poco tempo negli articoli divulgativi si è passati a definirla “inquinante”. La sua produzione attraverso la respirazione e la combustione, la rendono il bersaglio ideale per arrivare a condannare il vero colpevole di questo disastro planetario: l’uomo.

Sono moltissime le persone che  hanno l’abitudine di vedere l’umanità (esclusi loro naturalmente) come una banda di criminali e assassini, sempre pronti a complottare contro qualcuno per distruggere la natura (una natura idealizzata che non esiste, dove tutti, tranne l’essere umano, sono buoni e i carnivori stanno  diventando vegani. Una natura senza prese USB nella quale nessuno di noi sopravvivrebbe mezza giornata cercando di accendere un fuoco senza fiammiferi sotto un rigenerante acquazzone tropicale, mentre nuvole di zanzare vi divorano). Questa battuta, apparentemente scherzosa non lo è affatto. Provare a sopravvivere senza la tecnologia a cui siamo abituati sarebbe una bella scuola per tutti coloro che si lamentano dell’uomo moderno, rimpiangendo l’uomo allo stato di natura di J.J. Rousseau.

Sono comunque anch’io del parere che gli esseri umani hanno compiuto e compiono ancora gravi reati che violentano il bene comune in cui viviamo, ma sono altresì convinto che l’uomo nei momenti peggiori sia capace di correggersi e di compiere azioni meravigliose, degne del suo stato di animale superiore. Io credo anche che questo masochismo diffuso che ci porta a batterci il petto e trovare a tutti i costi un colpevole quando avviene un terremoto, se un uragano distrugge una città, se una malattia colpisce una persona, sia figlio di una cultura distorta che ignora totalmente Darwin. Odiare l’umanità per i “peccati ” che compie non aiuta a migliorare il nostro approccio alla natura.  I nostri comportamenti peggiori sono figli della ignoranza, una malattia per fortuna curabile con lo studio l’impegno e il rigore scientifico perché non esistono risposte semplici a problemi complessi.

Cominciamo dunque da qui, dalla Anidride Carbonica, oggi meglio chiamarla Biossido di Carbonio, scrivendo correttamente la sua formula che sui giornali viene solitamente bistrattata. CO2 si scrive con la C maiuscola (simbolo del Carbonio) O maiuscolo (simbolo dell’ossigeno) e 2 a pedice in piccolo che indica il numero degli ossigeni presenti nella molecola. Scrivere Co2 con “C” maiuscola e “o” minuscola rappresenta il simbolo del Cobalto che è tutt’altra cosa. Se vogliamo intenderci così va scritta.

Secondo punto. Il biossido di carbonio non è un gas inquinante. E’ la molecola fondamentale per la fotosintesi. Questa reazione fotochimica produce il nutrimento per tutti i viventi del pianeta che abitiamo.

Inoltre, senza l’effetto serra che il biossido di Carbonio insieme ad altri gas riesce a generare, permette alla Terra di avere una temperatura “vivibile” e non glaciale. Quindi per essere chiari, non si sta discutendo (spero) l’eliminazione totale della CO2 che porterebbe alla nostra autodistruzione, ma il dibattito verte sulla sua quantità.

Nell’atmosfera la presenza del biossido di carbonio è molto piccola (circa 418 ppm, parti per milione). La maggior parte si trova disciolta negli oceani sotto forma di ione bicarbonato (come quella dell’acqua minerale frizzante.) e come avrete notato, stappando una bibita gassata calda piuttosto che una fredda, in quella calda la CO2 fuoriesce rapidamente. Questo significa che gli oceani se si raffreddano agiscono come magazzini della CO2 ma se la loro temperatura aumenta ne liberano nell’atmosfera grandi quantità.

Dopo gli oceani, l’altro grande magazzino del carbonio è il terreno. Le stime a scala planetaria della quantità di C nel pool suolo sono caratterizzate da un considerevole livello d’incertezza, dovuto principalmente a un’ampia variabilità di dati e informazioni tra le diverse aree del globo. Temperatura, umidità, tipo di terreno, tipi di microorganismi presenti. Troppe sono le variabili che entrano in gioco sulla possibilità di cattura od emissione di CO2. Questa enorme quantità di biossido di carbonio sfugge quindi ai nostri calcoli. Non è ancora chiaro quale sarà l’effetto complessivo di questi fenomeni, poiché regioni diverse assorbono ed emettono livelli differenti di gas serra. Tuttavia, ovunque è presente il rischio che il surriscaldamento contribuisca a una maggiore emissione di gas serra dal suolo e dall’acqua, innescando una spirale che potrebbe determinare un ulteriore aumento della temperatura.

Un altro gas serra meno pubblicizzato ma altrettanto potente è il metano presente nell’atmosfera al 0,000072% che viene liberato dall’azione microbica su materiali organici in decomposizione, dalle discariche, dalla digestione dei ruminanti, ma soprattutto dalla coltivazione del riso. Chi ha il coraggio di dare questa informazione a oltre 3 miliardi di persone che vivono di questo prodotto?

Anche la CO2 viene prodotta nella decomposizione e se prendiamo ad esempio la Siberia il cui terreno è per la maggior parte congelato in superficie dal permafrost che funge da tappo, con un aumento delle temperature avremmo, sciogliendosi il tappo, una fuoriuscita di CO2 e metano attualmente imprigionati nel ghiaccio, in quantità enormi che immessi nell’atmosfera aumenterebbero l’effetto serra inducendo  automaticamente la fuoriuscita di altrettanto gas con un meccanismo che si autoalimenta dove alla fine l’effetto e la causa si confondono. Si ha così un fenomeno di feed back dove l’aumento della temperatura provoca la liberazione di CO2 che come gas serra aumenta ulteriormente la temperatura che aumenta la liberazione di altri gas serra ecc. nei mari ma anche nel permafrost. In questo meccanismo non si comprende se sia nato prima l’uovo o la gallina dato che l’aumento di uno provoca l’aumento dell’altro in una spirale che sembra impossibile fermare.

Un altro gas serra che deve essere preso in considerazione è N2O (protossido di azoto) la cui percentuale nell’atmosfera è di 0,000027%. E’ però importante spiegare che questi tre gas: CO2 CH4 (metano) e N2O non hanno lo stesso potere sull’effetto serra. Se indichiamo con potere < 1> l’effetto serra provocato da una molecola di CO2, il metano è 25 volte più potente e il protossido di azoto 298 volte più potente. La quota maggiore di protossido di azoto è prodotta dalla concimazione (45 %); seguono le emissioni indirette dovute al trasporto di ammoniaca e nitrati (25 %), quelle dei concimi aziendali (19 %) e quelle delle deiezioni degli animali al pascolo (11 %). Dal 1990 queste percentuali sono rimaste pressoché stabili. Difficile immaginare una riduzione dato che sia i concimi naturali che quelli artificiali devono portare azoto al terreno, indispensabile per le piante. Le percentuali riportate qui sopra sono purtroppo assolutamente inaffidabili perché hanno un +/- 80% di errore.

Ritornando agli oceani non dobbiamo dimenticare l’influenza che hanno El Nino (e la Nina che è l’opposto). Questo fenomeno consiste in un anomalo ed imprevedibile riscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico che porta forti piogge e temperature sotto media sulle coste sudamericane del Pacifico e siccità e caldo nelle zone più prossime dell’Oceano Pacifico occidentale. Anche in questo caso l’attività umana non c’entra. Di sicuro sappiamo che la sua influenza arriva fino in India rafforzando il monsone. Meno sicura è l’influenza che ha sul Mediterraneo. Quando sentite parlare di alluvioni qua e là nel mondo non date sempre la colpa all’uomo pregiudizialmente. Si parla solo di effetto serra come causa dei cambiamenti climatici, e di fenomeni estremi, siccità, inondazioni ecc. Ora scoprite che c’è dell’altro. Il El Nino del 2015 è stato uno dei tre più forti da sempre, generando le temperature più calde in più di 130 anni, contribuendo anche a rafforzare l’uragano Patricia, che ha fatto registrare venti superiori a 320 chilometri all’ora prima di toccare terra in Messico. L’interazione tra i mutamenti climatici in atto per il riscaldamento globale e El Nino sono ancora tutti da valutare.

Mi sono dilungato su questo argomento per far capire al lettore su quali cifre assolutamente inaffidabili si basino tutti i tipi di previsioni riguardo al clima e l’innumerevole quantità di elementi che lo generano e che sono quasi tutti fuori dal nostro controllo.

Un’altra questione che mi lascia perplesso è quella de l’optimum climatico.  Fu un periodo caldo protrattosi all’incirca tra i 9.000 e 5.000 anni fa, con un picco termico massimo attorno a 8.000 anni fa. Anche gli scienziati dell’IPCC convengono che definendo un periodo più caldo lo definiamo in modo relativo dato che i termometri sono stati inventati all’inizio del 1700. Vi propongo un altro dubbio che mi viene sulla temperatura scelta come riferimento per il valore optimum. Siamo sicuri che l’optimum climatico che è stato scelto ovvero la temperatura “terrestre” all’inizio dell’era industriale, andrebbe bene per tutti gli abitanti della Terra? Non credo che un abitante della Tanzania ed uno della Siberia sarebbero d’accordo. Comunque le cause di queste variazioni climatiche non sono ancora chiare. Questo riscaldamento che avvenne in tempi relativamente brevi 11.700 anni fa dà inizio all’era che stiamo vivendo chiamata Olocene e che permise la nascita dell’agricoltura. Si manifestò senza che gli esseri umani possano essere colpevolizzati di aver riempito l’atmosfera di CO2. Infatti dalle ricerche sulle carote di ghiaccio abbiamo accertato che  i valori di CO2  sono rimasti costanti fino al 1750 (inizio della rivoluzione industriale ed immissione nell’atmosfera della CO2 per l’uso di combustibili fossili.) Dunque l’aumento della CO2 non può avere cause solamente antropiche. Ancora una volta si cade nell’errore di tralasciare un dato che è controcorrente. Come detto, fino al 1750 le variazioni climatiche sono avvenute con livello basso di CO2 (280 ppm, oggi siamo a 418 ppm che espressi in percentuali corrispondono a 0,028% e 0,0418%.) e soprattutto mantenutosi su un valore costante. Dunque abbiamo due dati contraddittori. Il primo ci dice che la CO2 è aumentata per colpa nostra con l’inizio della rivoluzione industriale. Il secondo ci dice che il clima precedente è cambiato anche in presenza di una CO2 sempre bassa e costante. Non si può scegliere arbitrariamente una delle due tesi e depennare l’altra. C’è poi il fatto che inizialmente si presumeva che le variazioni di temperatura fossero globali. Invece queste opinioni sono state messe in discussione; il rapporto del 2001 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change riassume lo stato delle conoscenze, secondo il panel di esperti rappresentati all’interno di questa organizzazione i cambiamenti climatici hanno avuto una evoluzione a carattere locale e attribuire ad un intero emisfero terrestre un particolare tipo di clima è completamente errato.

Anche fenomeni climatici come le grandi siccità nel nord America che oggi, con la certezza dell’ignoranza vengono attribuiti alla specie umana, in realtà sono stati fenomeni frequenti e avvenuti in era precolombiana quindi ininfluenti rispetto alle emissioni prodotte dall’uomo.

Ulteriore errore, io credo si possa considerare, l’avere tralasciato una seria investigazione per chiarire le cause che hanno portato circa 8.000/10.000 anni fa allo scioglimento dei ghiacci, senza che l’uomo abbia avuto voce in capitolo e che ha portato al sollevamento del livello degli oceani di 100/120 metri. Il mistero è ancora più grande se si pensa che l’emisfero settentrionale aveva una copertura enorme di ghiaccio che generava un grande potere riflettente della luce solare (albedo). Condizione che spingeva certamente verso una accentuazione dell’era glaciale  e non verso la sua fine. Eppure è accaduto, enormi vallate come Valle d’Aosta o dell’Adige o della Valtellina svuotate dei loro enormi ghiacciai. E poi i laghi Iseo, Garda, Maggiore, Como, scavati anch’essi dall’enorme peso in movimento che ha lasciato morene gigantesche come la serra di Ivrea o la Franciacorta. Il cambiamento climatico è avvenuto in un tempo relativamente breve come pure deve esserlo stato l’innalzamento del livello dei mari al punto che di generazione in generazione alcuni popoli potrebbero averlo definito come un “diluvio”.

Dobbiamo inoltre spiegare la questione delle variazioni climatiche su scala secolare come le temperature stimate di 3/4°C superiori a quelle attuali dall’anno 1000 al 1400 nel nord Europa (anche in questo caso l’uomo non c’entra). A testimoniarlo la coltivazione della vite in Inghilterra e del grano a latitudini elevate. Ma le incertezze sulle temperature ha portato gli scienziati ad una diatriba chiamata L’enigma della temperatura dell’Olocene (periodo che inizia 10.000 anni fa. Il problema nasce dalla discrepanza tra le temperature ottenute dagli archivi naturali paleoclimatici a confronto con i calcoli da modelli computerizzati. I dati ottenuti dai sedimenti ci dicono che le temperature ebbero un massimo all’inizio dell’Olocene (10/11.000 anni fa) e poi un graduale decremento. I modelli, invece, indicano una graduale crescita delle temperature durante tutto l’Olocene sino ad oggi in seguito al costante ritiro delle calotte polari – e quindi della diminuzione della radiazione solare riflessa dai ghiacci, l’albedo – e all’aumento delle concentrazioni di gas serra fin dalla metà dell’Olocene. Se, come ormai sembra accertato, i modelli computerizzati sono più affidabili dei reperti paleoclimatici che ci forniscono indicazioni regionali e non globali, alcune interpretazioni andranno riviste.

E questo a mio parere è un altro errore. Siamo saltati alle conclusioni senza spiegare prima come il fenomeno della fine della glaciazione sia avvenuto senza l’aumento del biossido di carbonio e senza l’intervento antropico. Ecco l’apparente contraddizione:

Oggi l’aumento della CO2  fa aumentare le temperature

All’inizio dell’Olocene con CO2 quasi la metà dell’attuale e stabile, grande scioglimento dei ghiacci.

Molte dunque le questioni sospese in attesa di chiarimenti. Solo un grande esperimento costituito dal drastico taglio delle emissioni di origine antropica avrebbe provato, senza ombra di dubbio, che la CO2 sarebbe diminuita con tutte le conseguenze al seguito. Naturalmente era un esperimento ipotetico quello proposto dai seguaci dell’IPCC dato che sarebbe costato trilioni di dollari / euro per la crisi che avrebbe provocato.

Ebbene l’esperimento che sembrava impossibile fare, cioè obbligare a livello mondiale, praticamente a tutte le nazioni, una istantanea riduzione delle emissioni di CO2, è stato fatto. Merito di una pandemia. Dunque la dimostrazione della causa antropica del riscaldamento globale si poteva ottenere obbligando tutti o quasi tutti i paesi a ridurre di colpo i consumi energetici generatori di CO2 di almeno il 10%. Si dava per scontato che un simile taglio fosse impossibile da attuare per gli spaventosi costi economici che comportava. Quindi i sostenitori di questa ipotesi “potevano dormire tranquilli”, nessuna prova poteva compromettere il loro sonno. E’ accaduto l’impossibile. Nel 2020 l’esperimento, ebbene, è stato fatto. Bloccato praticamente tutto ciò che produce CO2 per 4/5 mesi a livello mondiale. Il prezzo del petrolio era sceso a zero perché nessuno lo comprava. Il mondo si è quasi fermato dalle scuole alle fabbriche. Il risultato? Danni economici incredibili. Sicuramente l’inquinamento dell’aria è diminuito, ma udite udite: lo storico Osservatorio di Mauna Loa ha registrato nel mese di maggio dello scorso anno (nel pieno del blocco quasi totale) una concentrazione di 418.2 ppm di CO2, mentre nel mese aprile 2020 era di 416.18 ppm. Sorpresa. La CO2 continua ad aumentare al ritmo di prima, anzi di più nonostante le emissioni di origine antropica siano diminuite del 10% (in Europa) e le emissioni mondiali di CO2 nel 2020 siano diminuite del 17% (non c’è accordo sulla esatta percentuale ma conta il risultato) rispetto all’anno precedente: la riduzione percentuale annua più alta dalla seconda guerra mondiale e, in valore assoluto è il crollo più forte mai registrato in un solo anno. Molto interessante il fatto che durante la crisi petrolifera del 1973 (ricordate le domeniche senza auto?) si poteva immediatamente vedere un cambiamento nel tasso di crescita del CO2. «Ci aspettavamo che accadesse anche questa volta», ha detto David Schimel, capo del gruppo di lavoro sul carbonio presso il centro Jpl della Nasa e co-autore dello studio. Con i dati del satellite Orbiting Carbon Observatory-2 combinati con il modello atmosferico.

Stiamo parlando di qualcosa di incredibile. Sembrava che le limitazioni alle attività umane imposte dalla pandemia di Covid-19 potessero almeno frenare il cambiamento climatico. Invece non è così…

Sinceramente mi aspettavo le scuse di alcune migliaia di scienziati tra i quali quelli dell’IPCC quelli che erano soliti sbeffeggiare chi osava alzare una mano per chiedere spiegazioni additandolo come “negazionista”del riscaldamento globale. almeno per il modo arrogante col quale hanno sostenuto le loro tesi.

Comunque lo sporco è stato messo sotto il tappeto e si va avanti come prima.

A questo punto vi sono due modi di interpretare l’esperimento.

Usando il metodo scientifico di Galileo. L’osservatore nota che l’aumento della CO2 coincide con l’avvio del periodo industriale. Ne deduce come ipotesi che sia l’uomo la causa del riscaldamento globale. L’esperimento consiste nel tagliare le emissioni di origine antropica così da osservare un tasso di crescita più basso o addirittura nullo della CO2. Risultato dell’esperimento: la CO2, nonostante i drastici tagli continua a crescere anche più di prima. E’ necessario riformulare l’ipotesi.

La cosa vi stupisce? Non dovrebbe. Sapendo che la CO2 prodotta dalle attività umane a pieno regime costituisce solo una minima parte del totale immesso nell’atmosfera, è un risultato che potevamo aspettarci.

Ridurre del 10% le nostre emissioni per l’anno 2020 ci è costata una crisi economica mondiale. Era quello che gli scienziati dell’IPCC chiedevano come minimo per rallentare la crescita della CO2. Speravo che questi dati stimolassero una seria riflessione sulle nostre capacità e possibilità di incidere in modo significativo sull’atmosfera.

Per dirla con A. Einstein: «Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento però  potrà dimostrare che ho sbagliato».

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