La gigantesca esplosione che ha devastato Beirut il 4 agosto 2020 è indelebile nella mente di molti. Oggi si torna a parlare di quella che è stata classificata come una delle dieci più potenti deflagrazioni non nucleari della storia, che ha devastato un terzo della capitale libanese, perché la morte di un uomo, rimasto gravemente ferito il 4 agosto 2020, fa salire ancora il bilancio di quell’enorme disastro.
Con la morte di Rami Fawaz, 48 anni, il bilancio delle vittime sale a 243. Fawaz, padre di due bambine, era rimasto gravemente ferito da schegge di vetri esplose nella deflagrazione ed è deceduto dopo una lunga agonia in ospedale. Tra le 243 vittime, 239 sono state identificate, mentre bisogna ancora dare un nome a quattro corpi, di tre donne e un uomo. Oltre alle 243 vittime, l’esplosione ha provocato anche oltre 6.500 feriti, molti dei quali menomati a vita. 330mila persone hanno dovuto abbandonare temporaneamente le loro case.
Per quanto riguarda le indagini, l’inchiesta libanese sull’esplosione di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, per anni custodite nel porto, al centro della capitale libanese, è di fatto bloccata dalle misure giudiziarie messe in atto dall’oligarchia politica al potere in Libano. Il giudice Tareq Bitar, incaricato delle indagini, è stato bloccato nel suo lavoro da una lunga serie di tentativi di ricusazione presentati dagli avvocati di alcuni ex ministri e deputati. Questi sono stati accusati formalmente, assieme ai vertici di sicurezza e istituzionali, di essere stati al corrente della presenza del materiale altamente esplosivo nell’hangar numero 12 del porto di Beirut, e di aver permesso che il nitrato di ammonio potesse rimanere incustodito in quella sede, a pochi passi dal centro abitato della capitale.