In Valle d’Aosta “nel giro di pochi anni si perderanno interi chilometri quadrati di copertura glaciale anche in quote molto alte. Cosa succederà ai torrenti? Ci sarà un forte problema di approvvigionamento non solo per l’arco alpino, ma anche per la Pianura Padana perché dipende da esso“: è quanto ha affermato Igor Rubbo, direttore generale di Arpa Valle d’Aosta, in audizione alla Commissione Territorio del Senato sullo scioglimento dei ghiacciai alpini. “Si ridurrà non solo la quantità di acqua ma anche la finestra temporale in cui l’approvvigionamento alpino risulta utile. Anche per gli usi primari, come l’acqua potabile o gli usi pastorali“. “Un rischio che coinvolgerà non solo le aree agricole, ma anche i grandi centri abitati, che sono grandi utilizzatori di acqua,” ha evidenziato Rubbo. Lo scioglimento dei ghiacciai valdostani ha un impatto forte anche sul rischio di alluvioni: “Per quanto riguarda le alluvioni il rischio non diminuirà. Anzi, aumenterà il numero di giorni in allerta gialla e arancione di 3-4 volte, di allerta rossa 2-3 volte“.
Il direttore generale di Arpa Valle d’Aosta si è soffermato anche sul settore idroelettrico. “Se manca la riserva di neve o di ghiaccio diminuisce anche la possibilità di ricavare energia. In un contesto di crisi energetica come quello attuale, il rapido scioglimento dei ghiacciai crea problemi di autonomia sia regionale (il 99% della corrente prodotta in Valle d’Aosta arriva dall’idroelettrico), sia per chi vive ma in Pianura Padana“.
Durante al medesima audizione sullo scioglimento dei ghiacciai alpini, Jean Pierre Fosson, segretario generale della Fondazione Montagna sicura, ha evidenziato che “ogni anno perdiamo una superficie di ghiacciai pari al centro della città di Aosta“. In Valle d’Aosta, ha proseguito Fosson, “il 3,5 % del territorio è ricoperto da ghiacciai, ma venti anni fa avremmo detto il 5%“: nel 1999 i ghiacciai erano 216 e coprivano una superficie di 154 km quadrati, nel 2019 erano 175 per una superficie di 120 km quadrati. A livello nazionale “nel 1956 sulle Alpi italiane c’erano 1397 ghiacciai che ricoprivano 608 km quadrati. Di questi 531 erano in Valle d’Aosta, 305 in Lombardia e 560 nel Triveneto. Nel 2015 erano 903 ghiacciai per un’estensione di 369 km quadrati. Una riduzione del 40% in 50 anni,” ha concluso Fosson.
“Anche i tre ghiacciai più grandi della Lombardia, cioè l’Adamello, il Fellaria-Palu’ e il Forni, andranno a scomparire entro fine secolo se non vengono ridotte le emissioni e continua l’aumento incontrollato delle temperature,” ha affermato Riccardo Scotti, consigliere del Servizio glaciologico lombardo, in audizione alla Commissione Territorio del Senato. “Se invece saremo in grado di stabilizzare le temperature entro i 2 gradi, seguendo le indicazioni dell’Accordo di Parigi, i ghiacciai maggiori potrebbero trarne un beneficio e conservarsi sul lungo periodo anche entro la fine del secolo,” ha evidenziato Scotti. L’aumento delle temperature “sulle Alpi è stato di circa 2 gradi rispetto all’era preindustriale, ovvero il doppio rispetto alla media dell’intero Pianeta“. “Dalla fine della Piccola Età glaciale del 1850 i ghiacciai lombardi hanno perso il 54% della superficie originaria, una variazione in media con i ghiacciai di altri territori alpini,” ha sottolineato il glaciologo. Ad esempio, la lingua glaciale del Fellaria, dal giugno 2019 all’ottobre 2021, ha perso 18 metri, “quanto l’altezza di Palazzo Madama,” ha concluso Scotti.
“Lo scioglimento dei ghiacciai alpini porterà a una riduzione della disponibilità d’acqua per un quarto degli abitanti europei,” ha spiegato Valter Maggi, presidente del Comitato glaciologico italiano, durante l’audizione. “L’arco alpino fornisce acqua ai 4 principali grandi bacini idrografici d’Europa, cioè quelli del Danubio, Reno, Rodano e Po“. “Un bacino come quello del Rodano che prende acqua dai ghiacciai delle montagne avrà una crisi profonda, con una perdita del 40% di forniture di acqua, stesso vale per il Po“.
“Lo scioglimento dei ghiacciai determina un deciso aumento dei fenomeni franosi. L’erosione dei ghiacciai ha poi scoperto molte superfici cosparse da molti detriti non coperti da vegetazione erba e poggianti su roccia levigata, quindi aumentato il rischio di frane“, ha spiegato Maria Siclari, capo dipartimento del servizio geologico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), in audizione alla Commissione Territorio del Senato. Un problema ulteriore in ambito di dissesto visto che “in Italia, quasi il 94% dei comuni è a rischio frane, alluvioni ed erosioni costiere”, come ricorda Siclari. “Un milione e 300 mila persone vivono in aree a rischio frane, mentre 6,8 milioni sono a rischio alluvioni. L’Italia con 625 mila frane è il Paese europeo più interessato da fenomeni franosi. Il 28% delle frane censite sono crolli o colate rapide di fango e detriti, caratterizzate da velocità elevate e da elevata distruttività con gravi conseguenze in ingenti danni infrastrutturali e perdita di vite umane”, ha concluso Siclari.