La superficie dell’asteroide Bennu è piena di crateri, ma i dati della missione OSIRIS–REx mostrano che, in effetti, ne mancano molti. I risultati suggeriscono che alcuni processi geologici inaspettati sono in corso sulla roccia spaziale larga 0,5 km, recentemente visitata dalla sonda spaziale della NASA.
OSIRIS-REx ha trascorso quasi 2 anni e mezzo tra il 2018 e il 2021 a studiare l’asteroide. La sonda non consegnerà i campioni della roccia spaziale sulla Terra fino al prossimo anno, ma gli scienziati hanno già analizzato migliaia di immagini e dati raccolti dal veicolo. Questa quantità di informazioni ha reso Bennu uno dei corpi più esplorati nel Sistema Solare, ha dichiarato a Space.com Edward “Beau” Bierhaus, ricercatore di scienze spaziali presso la Lockheed Martin e autore principale del nuovo studio.
“Abbiamo raccolto migliaia e migliaia di immagini e letteralmente miliardi di misurazioni LIDAR che ci hanno fornito la forma topografica di Bennu,” ha spiegato Bierhaus.
Bierhaus e i suoi colleghi hanno trascorso mesi a esaminare le immagini con l’obiettivo di saperne di più su come si formano i crateri sull’asteroide e ciò che i ricercatori hanno scoperto li ha sorpresi.
Bennu, largo 484 metri, è pieno di crateri: gli scienziati ne hanno trovati oltre 1.500, che vanno da un metro a 200 metri di larghezza. In seguito poi i ricercatori hanno confrontato questi numeri con i dati sulla frequenza e l’intensità delle collisioni che formano crateri sulla Terra, sulla Luna e su altri corpi. I calcoli hanno evidenziato che gli scienziati avrebbero dovuto trovare molte più cicatrici da impatto di questo tipo.
“Statisticamente, ci aspetteremmo di vedere molti crateri più piccoli – ha dichiarato Bierhaus – ma non ci sono“.
Crateri mancanti
Per comprendere le dinamiche delle collisioni che formano crateri sugli asteroidi, gli scienziati si basano sulle osservazioni delle superfici dei pianeti rocciosi, come Marte e Mercurio o la Luna. Senza un’adeguata atmosfera e vulcanismo minimo o nullo, questi mondi aridi conservano un registro accurato dei “bombardamenti” del passato. Su Bennu, però, le cose non sembrano funzionare allo stesso modo.
I ricercatori hanno scoperto che quanto accaduto su Bennu era in qualche modo simile a ciò che la navicella Haybusa ha osservato sull’asteroide Itokawa, visitato nel 2005. Itokawa, un po’ più piccolo di Bennu, non aveva molti crateri, ha spiegato Bierhaus. “Pensiamo che questa assenza di piccoli crateri abbia a che fare con le caratteristiche della superficie di Bennu,” ha affermato Bierhaus. “È estremamente accidentato, coperto di massi e molto diverso dalla Luna o da Marte“.
Bennu è ciò che gli scienziati chiamano un asteroide “rubble-pile“, un mucchio di detriti: piuttosto che un solido blocco di roccia, il piccolo mondo è essenzialmente un mucchio di massi e ciottoli, tutti prodotti in collisioni precedenti, tenuti insieme solo dalla gravità. Questa struttura, ha spiegato Bierhaus, funziona come “la zona di deformazione in un’auto“, assorbendo molti impatti, soprattutto quelli meno energetici, quasi senza lasciare traccia.
Difesa planetaria
Gli scienziati chiamano la produzione di quella zona di deformazione “armatura da impatto”. “Quando qualcosa colpisce Bennu, l’energia dell’impatto non viene trasmessa in modo efficiente al volume di massa dell’asteroide,” ha evidenziato Bierhaus. “Potrebbe essere interamente assorbito da un masso o da un piccolo numero di massi. Non gli è consentito propagarsi nel resto della superficie e formare un cratere“.
Capire come si comportano gli asteroidi di questo tipo durante gli impatti è interessante non solo dal punto di vista scientifico, ha sottolineato Bierhaus. Gli scienziati ritengono che la stragrande maggioranza degli asteroidi “near-Earth”, quelli che potrebbero colpire il nostro pianeta, siano del tipo “rubble-pile”.
Se un giorno un asteroide di grandi dimensioni dovesse trovarsi in rotta di collisione con la Terra, l’umanità dovrà inviare un dispositivo impattatore, nel tentativo di evitare la collisione. “La nostra capacità di fare ciò dipende molto dalla nostra comprensione della composizione di questi oggetti, di come sono messi insieme e come rispondono agli eventi energetici,” ha spiegato Bierhaus. “Studiando gli asteroidi di detriti, non solo stiamo ottenendo informazioni sulla storia e l’evoluzione del Sistema Solare, ma anche sulla nostra potenziale capacità di proteggere la Terra“.
La superficie più giovane del Sistema Solare
Bennu ha riservato anche altre sorprese. Analizzando le caratteristiche e la distribuzione dei crateri dell’asteroide, gli scienziati hanno scoperto che, a differenza della Luna, Bennu non conserva un registro molto lungo dei suoi impatti passati. In media, le tracce di tali eventi vengono cancellate ogni pochi milioni di anni e, sebbene l’asteroide stesso abbia fino a un miliardo di anni, la sua superficie in costante mutamento è relativamente giovane.
“Sulla base del numero di crateri osservati, è possibile stimare l’età della superficie,” ha affermato Bierhaus. “Per Bennu, è qualcosa come 2 milioni di anni, ed è straordinario. È una delle età superficiali derivate da crateri più giovani che abbiamo osservato nel Sistema Solare“.
La scoperta mette in discussione alcune ipotesi precedenti sulla vita degli asteroidi. Su questi corpi “geologicamente morti”, senza vulcanismo e atmosfere, sono chiaramente all’opera altri fenomeni che li mantengono più in vita di quanto ci si aspetterebbe, ha detto Bierhaus. “Pensavamo di avere una conoscenza di base di tutti i diversi modi in cui potrebbero manifestarsi i crateri da impatto,” ha affermato. “E’ stato sorprendente osservare Bennu e scoprire che c’è un regime completamente nuovo che non abbiamo compreso pienamente in precedenza“.