I pazienti fragili devono essere protetti contro il Covid-19, anche grazie alla prima opzione farmacologica che consente di prevenire i sintomi del virus diversa dai vaccini: una combinazione di anticorpi monoclonali. Si fa riferimento a persone, in particolare quelle con sistema immunitario compromesso, che potrebbero non sviluppare una risposta adeguata ai vaccini contro il virus. Inoltre, in caso di infezione, sono a maggior rischio di esiti negativi da Covid-19, perché la loro capacità naturale di combattere gli agenti patogeni è più bassa. In Italia, dallo scorso febbraio, è disponibile una combinazione di anticorpi monoclonali a lunga emivita che ha dimostrato di ridurre dell’83% il rischio di sviluppare la malattia in forma sintomatica, con una protezione che continua per almeno sei mesi dopo una sola dose. Si riscontrano però differenze regionali nell’accesso dei pazienti a questo trattamento di profilassi pre-esposizione al virus. Per definire un approccio alla prevenzione multidisciplinare, integrato e condiviso, parte l’iniziativa di sensibilizzazione “Covid-19, preveniamolo nei più fragili”, che prevede un tour in 10 Regioni nell’ambito del quale interverranno tutti gli attori coinvolti nella gestione delle persone fragili, inclusi gli Assessori regionali. Il progetto, presentato oggi al Senato in un convegno nazionale, è promosso da Senior Italia FederAnziani in collaborazione con AstraZeneca.
“I due anticorpi monoclonali umani, tixagevimab e cilgavimab, derivati da cellule B donate da pazienti convalescenti dopo aver contratto il SARS-CoV-2 e poi successivamente sottoposte a modifiche biotecnologiche, sono in grado di legarsi a siti distinti sulla proteina spike del Coronavirus – spiega Giovanni Di Perri, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Torino e Responsabile della Divisione Universitaria di Malattie Infettive all’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino -. Sono stati ottimizzati per estenderne la durata d’azione rispetto ai monoclonali convenzionali. Nello studio internazionale PROVENT di fase III condotto su 5.197 pazienti e pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, la combinazione ha ridotto il rischio di sviluppare il Covid-19 sintomatico rispetto al placebo dell’83% all’analisi di follow-up a 6 mesi. Una singola dose della combinazione di tixagevimab e cilgavimab, facilmente somministrabile per via intramuscolare, determina quindi una protezione duratura, per almeno 6 mesi. Purtroppo, ad oggi, per accedere al farmaco è necessario un test sierologico negativo, tuttavia la presenza di un titolo anticorpale non assicura la reale protezione dal virus e da ciascuna delle sue varianti circolanti. Sono diversi i gruppi di popolazione che rimangono a rischio di Covid-19, perché non possono vaccinarsi oppure perché immunocompromessi e, quindi, non in grado di sviluppare una risposta immunitaria adeguata dopo la vaccinazione. Si tratta, in particolare, dei pazienti trapiantati, affetti da patologie onco-ematologiche, in trattamento chemioterapico attivo, oppure con farmaci immunosoppressori per patologie ad esempio reumatologiche o neurologiche, o colpiti da immunodeficienze primarie”. Si stima che circa il 2% della popolazione mondiale (3 milioni di persone in Europa) sia ad alto rischio di una risposta inadeguata alla vaccinazione contro il Covid-19 e possa trarre particolare beneficio dalla profilassi pre-esposizione con la combinazione di anticorpi monoclonali.
“Gli anticorpi monoclonali sono prodotti biotecnologici che, oltre ad essere da anni utilizzati per la terapia di numerose malattie croniche, tra cui molte forme di tumore, sono in grado di potenziare la risposta immunitaria naturale contro specifici microrganismi patogeni – afferma Stefano Vella, infettivologo e docente di Salute Globale all’Università Cattolica di Roma -. Al di là del loro impiego terapeutico, in alcuni casi, tra cui l’infezione da HIV e il Covid-19, si sono dimostrati in grado di svolgere anche un ruolo preventivo. Oggi al Senato si parla di un cocktail di anticorpi monoclonali, tra l’altro modificati per avere una lunga durata d’azione, che possono svolgere un ruolo importante nella profilassi dell’infezione da Sars-Cov2, soprattutto per quelle persone ad alto rischio di andare incontro a forme severe di malattia, a causa di un sistema immunitario troppo fragile per rispondere in modo efficace sia all’infezione che ai vaccini disponibili”.
I due anticorpi tixagevimab e cilgavimab sono stati individuati dagli esperti del Vanderbilt University Medical Center negli Stati Uniti. La combinazione, lo scorso marzo, ha ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio in Europa per la profilassi del Covid-19. In Italia la combinazione è stata autorizzata a gennaio per l’uso in emergenza (GU 28/01/2022) e resa disponibile nelle strutture identificate a livello regionale. Lo scorso aprile (GU 14/04/2022) ha ottenuto l’approvazione in classe CNN (dedicata ai farmaci non ancora valutati ai fini della rimborsabilità). Le Regioni si sono attivate, seppur in maniera eterogenea, nell’identificazione dei prescrittori ma non hanno ancora definito dei percorsi chiari per la presa in carico dei pazienti e che possano consentire l’accesso al farmaco a tutti i pazienti eleggibili.
“L’uso degli anticorpi monoclonali in profilassi, a differenza di quello in trattamento, è svincolato dall’incidenza della patologia ed è più facilmente programmabile da parte dei centri che hanno in carico i pazienti che rientrano nelle categorie eleggibili identificate nel registro dell’Agenzia Italiana del Farmaco – sottolinea Alessandro D’Arpino, Vice Presidente SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici della Aziende Sanitarie) -. Per questo è importante che siano superate quanto prima le differenze a livello territoriale per consentire l’accesso a questa protezione supplementare, che si aggiunge ai vaccini nella tutela delle persone più fragili”.
“Durante la prima ondata della pandemia la mortalità per Covid nei pazienti oncologici ha raggiunto il 30%, ma questa percentuale si è progressivamente ridotta grazie alle campagne di immunizzazione, che hanno permesso di mettere in sicurezza una parte delle persone colpite da tumore, riducendo le ospedalizzazioni e i decessi – spiega Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Resta però una percentuale di pazienti ad alto rischio, come quelli con malattia oncoematologica in fase attiva, che non sono in grado di sviluppare una risposta immunitaria adeguata dopo la vaccinazione. In questi casi è necessario poter garantire una protezione supplementare al vaccino, anche considerando le basse percentuali di adesione alla quarta dose”.
“È incoraggiante che la combinazione di anticorpi abbia dimostrato di essere efficace e di neutralizzare anche il sottolignaggio BA.2 della variante omicron, attualmente dominante in circolazione e molto contagioso – afferma Francesco Cognetti, Presidente di FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi) -. I nuovi casi di infezione sono in calo, ma nel nostro Paese i decessi causati dal virus continuano a essere fra i più numerosi al mondo. Inoltre, la revoca di diverse misure di contenimento del Covid-19 rende oggi più che mai importante tutelare le popolazioni vulnerabili, come gli immunocompromessi. Tutti gli studi pubblicati sulla pandemia mostrano che i pazienti affetti da patologie oncologiche ed ematologiche rappresentano una popolazione particolarmente esposta all’infezione. Vi è una confluenza di fattori di rischio per entrambe le patologie, cioè tumori e Covid-19. E i trattamenti chemioterapici aumentano la probabilità di contrarre il virus e ne incrementano la letalità, attraverso una diminuzione della risposta immune”.
“Promuoviamo questo importante progetto a tutela degli immunocompromessi, in cui rientrano anche molti anziani – conclude Eleonora Selvi, Presidente Senior Italia FederAnziani -. L’iniziativa di sensibilizzazione al fine di proteggere maggiormente le persone vulnerabili deve partire proprio in questi mesi, prima della probabile ripresa dei contagi il prossimo autunno. Vogliamo confrontarci con gli Assessori regionali alla salute per sensibilizzarli e superare quanto prima gli ostacoli che non permettono di accedere in modo uniforme sul territorio alla prima opzione farmacologica a base di anticorpi per la prevenzione del Covid-19”.