Covid, missione russa: così le autorità di Mosca potrebbero aver ottenuto dati sanitari degli italiani

Esiste una relazione che fornisce le generalità delle tre dottoresse che hanno trascorso 24 giorni all’interno dello Spallanzani di Roma e i termini dell'intesa
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Appare sempre più chiaro che la missione “Dalla Russia con amore”, concordata tra Vladimir Putin e l’allora premier Giuseppe Conte in piena emergenza Covid, non sia stata solo una missione di sostegno all’Italia ma una missione di spionaggio. A farlo pensare, erano state le recenti dichiarazioni di un funzionario del Ministero degli Esteri russo, che a metà marzo aveva minacciato “conseguenze irreversibili” per l’adesione del nostro Paese alle sanzioni contro la Russia, lasciando intendere di avere informazioni riservate da rivelare. A questo, ora si aggiunge il fatto che durante quella missione le autorità russe potrebbero aver ottenuto dati sanitari di cittadini italiani.

Finora i vertici dello Spallanzani avevano negato questa possibilità, assicurando che “nessun dato sensibile è stato reso noto, abbiamo soltanto acquisito informazioni preziose per la ricerca che saranno oggetto di pubblicazioni e condivisioni, proprio come accaduto con altri Paesi”. Esiste però una relazione, allegata all’accordo stilato nel 2021 tra l’Istituto Spallanzani di Roma e l’Istituto Gamaleya di Mosca, che elenca i termini dell’intesa e fornisce le generalità delle tre dottoresse che hanno trascorso 24 giorni all’interno dell’istituto romano.

Secondo le informazioni sulle scienziate russe inviate a Roma, contenute nella relazione, una di loro era Inna Vadimovna Dolzhikova, 34 anni, indicata come “ricercatrice di riferimento” che ha “partecipato a numerose attività di ricerca epidemiologica e sui vaccini, comprese quelle su Ebola e Sars-Cov-2”. Daria Andreevna Egorova, 35 anni, ricercatrice senior, nel curriculum aveva inserito “una presentazione sullo stato attuale e risultati delle sperimentazioni libiche del vaccino Sputnik V”. E infine Anna Sleksieyevna Iliukhina, 25 anni, che “dal 2017 lavora presso il centro di ricerca statale per l’immunologia dell’Agenzia federale medica e biologica della Russia come assistente di laboratorio”.

La relazione specifica che “il suddetto personale russo ha accesso ai laboratori e al sistema informatico in uso presso Inmi”. Nell’accordo si parla di “scambio di informazioni e materiali biologici” ma anche di “condividere campioni umani (sieri) da soggetti che hanno ricevuto il vaccino Sputnik V in Russia” e di “esplorare modalità specifiche per l’implementazione di studi clinici che prevedono l’utilizzo di Sputink V in volontari in Italia”.

Nella relazione interna dello Spallanzani, è riportato che “le tre ricercatrici russe operano presso i laboratori dal 4 giugno 2021. Sono giunte a Roma il 3 giugno alle ore 11.35 con volo SU2402 accompagnate da una donna addetta alla sicurezza. Il volo di rientro Roma-Mosca Su2403 è prenotato per il 27 giugno 2021 alle ore 8.35”. In quanto al lavoro svolto dalle scienziate in quei 23 giorni, la relazione conferma l’accesso “ai laboratori e al sistema informatico in uso presso Inmi”.

In seguito, altri ricercatori russi hanno collaborato con lo Spallanzani fino a dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina, quando poi la Regione Lazio ha interrotto la cooperazione. L’obiettivo dichiarato era fare ricerca sul vaccino Sputnik, ma da quanto sta emergendo sembra proprio che si sia trattato di attività di spionaggio.

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