Epatite acuta nei bambini: ipotesi ruolo di un superantigene di SARS-COV-2

Due scienziati propongo l'idea che le epatiti possano essere una conseguenza dell'infezione da adenovirus in bambini precedentemente infettati da SARS-CoV-2 e portatori di 'serbatoi virali'
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Mentre proseguono le indagini per capire le cause e l’entità dei casi di epatite acuta a eziologia sconosciuta che si stanno verificando tra i bambini, torna in gioco l’ipotesi di un collegamento con SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile della pandemia in atto. In un articolo, pubblicato online su ‘The Lancet Gastroenterology and Hepatology’ nella sezione ‘Correspondence’, gli scienziati Petter Brodin dell’Imperial College London nel Regno Unito (Dipartimento di immunologia e infiammazione) e Moshe Arditi del Cedars Sinai Medical Center di Los Angeles negli Usa (Dipartimento di pediatria, divisione malattie infettive e immunologia) lanciano un’ipotesi su cui invitano a indagare: quella di un effetto scatenante da parte di superantigeni di SARS-CoV-2.

I due scienziati evidenziano che “un agente infettivo rimane la causa più plausibile” al momento. Nel dettaglio, l’idea degli esperti è che le epatiti possano essere una conseguenza dell’infezione da adenovirus in bambini precedentemente infettati da SARS-CoV-2 e portatori di ‘serbatoi virali’. Guardando agli esiti dei test condotti sui casi britannici, per esempio, nel 72% dei bambini con epatite acuta grave testati per l’adenovirus è stato rilevato questo patogeno, e fra i 18 casi sottotipizzati tutti risultavano avere l’adenovirus F41. Ma, fanno notare gli autori, “questo patogeno a nostra conoscenza non è stato precedentemente segnalato come causa di epatite acuta grave“.

Il coronavirus SARS-CoV-2 è stato identificato nel 18% dei casi segnalati nel Regno Unito. Altri casi avevano avuto una positività nelle 8 settimane precedenti al ​​ricovero. È probabile “che i test sierologici in corso” rivelino “un numero maggiore di bambini con epatite acuta grave e infezione SARS-CoV-2 precedente o attuale“, sostengono i due esperti. È stato riferito, inoltre, che 11 di 12 pazienti israeliani avevano avuto il Covid negli ultimi mesi e la maggior parte dei casi segnalati di epatite riguardava pazienti troppo piccoli per essere idonei alle vaccinazioni anti-Covid. Da qui l’ipotesi formulata: l’infezione da SARS-CoV-2 “può causare la formazione di un serbatoio virale“, in cui si nasconde il virus, che continua a rimanere nell’organismo. “La persistenza del virus nel tratto gastrointestinale può portare al rilascio ripetuto di proteine ​​virali attraverso l’epitelio intestinale, dando luogo a un’attivazione immunitaria”.

Questa attivazione immunitaria ripetuta “potrebbe essere mediata da un superantigene all’interno della proteina Spike di SARS-CoV-2, che assomiglia all’enterotossina B dello stafilococco, innescando l’attivazione ampia e non specifica dei linfociti T”, spiegano Brodin e Arditi. Tra l’altro, “l’attivazione delle cellule immunitarie mediata da superantigene è stata proposta come possibile meccanismo causale della sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini”, Mis-C, osservata in alcuni piccoli pazienti a distanza di tempo da un’infezione da SARS-CoV-2. E inoltre è stata segnalata anche epatite acuta in bambini con sindrome infiammatoria multisistemica, ma per quei casi non è stata studiata la coinfezione da parte di altri virus, proseguono i due scienziati.

Lo scenario proposto da Brodin e Arditi è simile a un altro già descritto nei topi e punta ad un’eccessiva risposta immunitaria: l’infezione da adenovirus sensibilizza i roditori al successivo shock tossico mediato dall’enterotossina B dello stafilococco – che agirebbe come potrebbe farlo un ipotetico superantigene di SARS-CoV-2 – portando a insufficienza epatica e morte. “Tradotto nella situazione attuale – concludono i due esperti – suggeriamo che i bambini con epatite acuta debbano essere studiati per verificare l’eventuale persistenza di SARS-CoV-2 nelle feci“, e per altri fattori che potrebbero confermare un fenomeno simile a quello ipotizzato. Queste indagini potrebbero “fornire evidenze di un meccanismo” innescato da un “superantigene di SARS-CoV-2 in un ospite sensibilizzato dall’adenovirus 41F“. Se venisse trovata evidenza di una attivazione immunitaria mediata da superantigene, “dovrebbero essere prese in considerazione delle terapie immunomodulatorie nei bambini con epatite acuta grave”.

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