Potenti brillamenti, viste mozzafiato sui poli del Sole e un curioso “porcospino” solare sono alcuni tra i moltissimi video, dati e immagini spettacolari inviati da Solar Orbiter in seguito al suo primo incontro ravvicinato con il Sole. Sebbene l’analisi del nuovo insieme di dati sia solo all’inizio, è già evidente che la missione guidata dall’ESA sta acquisendo informazioni straordinarie sul comportamento magnetico del Sole e sul suo impatto sul tempo meteorologico spaziale.
La distanza minima di Solar Orbiter dal Sole, nota come perielio, è stata registrata il 26 marzo. Il veicolo spaziale si trovava nell’orbita di Mercurio, a circa un terzo della distanza tra Sole e Terra, dove il suo scudo termico ha raggiunto una temperatura di circa 500°C, dissipata grazie alla tecnologia innovativa che consente di mantenere il veicolo spaziale al sicuro e funzionante.
Solar Orbiter è dotato di dieci strumenti scientifici: nove di responsabilità dei Paesi Membri dell’ESA e uno della NASA, che lavorano insieme per fornire nuove informazioni senza precedenti sul “funzionamento” della nostra stella locale. Alcuni di questi, sono strumenti di telerilevamento che osservano il Sole, mentre altri sono strumenti in situ e monitorano le condizioni esistenti attorno alla navicella spaziale, consentendo agli scienziati di “unire i puntini” tra quello che vedono accadere al Sole e quello che Solar Orbiter rileva dalla sua posizione all’interno del vento solare, a milioni di chilometri di distanza.
Quando si parla di perielio, è evidente che più vicino si trova la navicella spaziale al Sole, migliori sono i dettagli acquisiti dallo strumento di telerilevamento. E fortuna ha voluto che la navicella spaziale ha assorbito anche diversi brillamenti solari e persino un’espulsione di massa coronale diretta verso la Terra, offrendo un’anteprima in tempo reale delle previsioni del meteo spaziale, un’attività che sta diventando sempre più importante a causa della minaccia costituta dal meteo spaziale nei confronti di tecnologia e astronauti.
Presentazione del porcospino solare
“Le immagini sono davvero mozzafiato“, dichiara David Berghmans, dell’Osservatorio Reale del Belgio e Responsabile Scientifico (PI) della fotocamera dell’estremo ultravioletto (Extreme Ultraviolet Imager, EUI), che acquisisce immagini in alta risoluzione degli strati più bassi dell’atmosfera del Sole, noti come corona solare. È in questa regione che avviene la maggior parte dell’attività che influenza il meteo spaziale.
Ora il compito del team di EUI consiste nel comprendere le osservazioni effettuate – e non si tratta di un’impresa facile, perché, su una scala ridotta, Solar Orbiter sta rivelando moltissima attività solare. Quando notano una caratteristica o un evento che non sono in grado di riconoscere immediatamente, i membri del team devono riesaminare le precedenti osservazioni solari di altre missioni spaziali al fine di verificare se mai prima d’ora è stato osservato qualcosa di simile.
“Anche se domani Solar Orbiter smettesse di acquisire dati, sarei occupato per anni a cercare di analizzare tutte queste informazioni“, spiega David Berghmans.
Una caratteristica particolarmente affascinante è stata osservata durante il perielio. Per ora, è stata soprannominata “il porcospino“. Si estende per 25.000 chilometri lungo il Sole e presenta una serie di spuntoni di gas caldi e più freddi che si protendono in tutte le direzioni.
Unire i puntini
Il principale obiettivo scientifico di Solar Orbiter è l’esplorazione della connessione tra il Sole e l’eliosfera. L’eliosfera è la grande “bolla” di spazio che si estende oltre i pianeti del nostro Sistema Solare. È piena di particelle dotate di carica elettrica, la maggior parte delle quali è stata espulsa dal Sole e forma il vento solare. È il movimento di queste particelle, con i campi magnetici solari associati, che crea il meteo spaziale.
Per tracciare gli effetti del Sole sull’eliosfera, i risultati degli strumenti in situ, che registrano le particelle e i campi magnetici che passano attraverso la navicella spaziale, devono essere ricondotti ad eventi sulla superficie visibile del Sole o vicino a essa, registrati dagli strumenti di telerilevamento.
Non si tratta di un compito facile, dal momento che l’ambiente magnetico attorno al Sole è molto complesso, ma più la navicella spaziale riesce ad avvicinarsi al Sole, meno complessa diventa l’attribuzione di eventi di particelle al Sole lungo le “autostrade” delle linee del campo magnetico. Il primo perielio è stato un test chiave di tutto ciò e, finora, i risultati sembrano molto promettenti.
Il 21 marzo, qualche giorno prima del perielio, una nuvola di particelle cariche ha investito la navicella spaziale, rilevata dal rilevatore di particelle energetiche (Energetic Particle Detector, EPD). È importante notare che le particelle più energetiche sono giunte per prime, seguite da quelle con energie sempre più ridotte.
“Ciò suggerisce che le particelle non si generano nelle vicinanze della navicella spaziale“, chiarisce Javier Rodríguez-Pacheco dell’Università di Alcalà, Spagna, e Responsabile Scientifico di EPD. Sono state invece prodotte nell’atmosfera solare, più vicino alla superficie del Sole. Viaggiando nello spazio, le particelle più veloci si sono lasciate alle spalle quelle più lente, come i podisti in una competizione.
Lo stesso giorno, l’esperimento relativo alle onde radio e al plasma (Radio and Plasma Waves, RPW) ha visto arrivare le particelle, rilevando la caratteristica scansione forte delle radiofrequenze prodotta quando le particelle accelerate, principalmente elettroni, si muovono a spirale verso l’esterno, lungo le linee del campo magnetico del Sole. RPW ha quindi rilevato oscillazioni note come onde di Langmuir. “Si tratta di un segnale che gli elettroni carichi hanno raggiunto la navicella spaziale“, spiega Milan Maksimovic, LESIA, dell’Osservatorio di Parigi, Francia, e Responsabile Scientifico di RPW.
Degli strumenti di telerilevamento, sia EUI sia lo spettrometro/telescopio a raggi X (X-ray Spectrometer/Telescope, STIX) hanno osservato eventi sul Sole che potrebbero essere stati responsabili dell’emissione delle particelle. Sebbene le particelle che si muovono verso lo spazio siano quelle rilevate da EPD e RPW, è importante ricordare che altre particelle possono spostarsi verso il basso rispetto all’evento, raggiungendo i livelli inferiori dell’atmosfera solare. È qui che entra in gioco STIX.
Mentre EUI osserva la luce ultravioletta rilasciata dal sito di brillamento nell’atmosfera del Sole, STIX osserva i raggi X prodotti quando gli elettroni accelerati dal brillamento interagiscono con i nuclei degli atomi nei livelli inferiori dell’atmosfera solare.
Ora è compito del team indagare l’esatta modalità di collegamento di tutte queste osservazioni. La composizione delle particelle rilevate da EPD sembra indicare che la loro accelerazione è stata probabilmente causata da un urto coronale nell’ambito di un evento più graduale dell’impulso impartito da un brillamento.
“Potrebbero esserci diversi punti di accelerazione“, afferma Samuel Krucker dell’Università di Scienze Applicate FHNW in Svizzera, e Responsabile Scientifico di STIX.
Ad aggiungere un’ulteriore complicazione è il magnetometro (MAG), che non ha registrato alcun evento contemporaneo significativo. Tuttavia, non si tratta di un fenomeno insolito. L’eruzione iniziale di particelle, nota come espulsione di massa coronale (Coronal Mass Ejection, CME), crea un forte campo magnetico che MAG può registrare facilmente, ma le particelle cariche di energia dell’evento viaggiano molto più velocemente rispetto alla CME e possono riempire rapidamente grandi volumi di spazio ed essere quindi rilevate da Solar Orbiter. “Tuttavia, se la CME non colpisce la navicella spaziale, MAG non osserverà alcuna firma”, chiarisce Tim Horbury, Imperial College, Regno Unito, e Responsabile Scientifico di MAG.
Per quanto riguarda il campo magnetico, tutto ha inizio sulla superficie visibile del Sole, nota come fotosfera. È da qui che il campo magnetico generato internamente si espande nello spazio. Per conoscerne l’aspetto, Solar Orbiter è dotato di una fotocamera polarimetrica ed eliosismica (Polarimetric and Helioseismic Imager, PHI). Tale strumento è in grado di osservare la polarità magnetica nord e sud sulla fotosfera, oltre all’increspatura della superficie del Sole causata da onde sismiche che viaggiano al suo interno.
“Forniamo le misurazioni del campo magnetico alla superficie del Sole. Tale campo si espande quindi verso la corona e, in pratica, causa tutte le scintille e i fenomeni che si vedono lassù“, spiega Sami Solanki, del Max-Planck-Institut für Sonnensystemforschung, Göttingen, Germania, e Responsabile Scientifico di PHI.
Un altro strumento, SPICE, la fotocamera spettrale dell’ambiente coronale (Spectral Imaging of the Coronal Environment), registra la composizione della corona. Queste “mappe della ricchezza” possono essere confrontate con i contenuti del vento solare osservati dallo strumento che analizza il vento solare (Solar Wind Analyser, SWA).
“In questo modo tracceremo l’evoluzione della composizione del vento solare dal Sole alla navicella spaziale, chiarendo i meccanismi responsabili della sua accelerazione“, afferma Frédéric Auchère, dell’Institut d’Astrophysique Spatiale in Francia, Responsabile Scientifico di SPICE.
Prevedere il meteo spaziale
Combinando i dati di tutti gli strumenti, il team scientifico sarà in grado di chiarire l’evoluzione dell’attività solare dalla superficie del Sole a Solar Orbiter e oltre. Ed è proprio questa conoscenza che aprirà la strada a un futuro sistema progettato per prevedere le condizioni meteorologiche spaziali sulla Terra in tempo reale. Nel periodo precedente al perielio, Solar Orbiter ha anche avuto un assaggio di come potrebbe funzionare un sistema di questo tipo.
La navicella spaziale volava sopravvento rispetto alla Terra. Questo punto di vista unico consentiva alla sonda di monitorare le condizioni del vento solare che avrebbe colpito la Terra diverse ore dopo. Dato che la navicella spaziale era in contatto diretto con la Terra, con i segnali che viaggiano alla velocità della luce i dati sono arrivati a terra in pochi minuti, pronti per l’analisi. Fortuna ha voluto che siano state rilevate diverse espulsioni di massa coronale (CME) in questo periodo: alcune di queste puntavano direttamente verso la Terra.
Il 10 marzo, una CME ha investito la navicella spaziale. Utilizzando i dati di MAG, il team è riuscito a prevedere quando la CME avrebbe successivamente colpito la Terra. L’annuncio di questa notizia sui social media ha consentito agli appassionati di osservazioni del cielo di prepararsi all’aurora, che è arrivata puntualmente circa 18 ore più tardi, all’orario previsto.
Quest’esperienza ha offerto a Solar Orbiter un assaggio di cosa significhi prevedere in tempo reale le condizioni meteorologiche spaziali sulla Terra. Quest’attività è sempre più importante a causa della minaccia costituta dal meteo spaziale per la tecnologia e gli astronauti.
L’ESA sta attualmente pianificando una missione chiamata ESA Vigil che sarà stazionata su un lato del Sole, rivolta verso la regione dello spazio che porta verso la Terra. Il suo compito sarà l’acquisizione di immagini delle CME che attraversano questa regione, specialmente quelle dirette verso il nostro pianeta. Durante il perielio, Solar Orbiter è stato posizionato in modo che gli strumenti Metis e SoloHI potessero fornire proprio questo tipo di immagini e dati.
Metis scatta immagini della corona tra 1,7 e 3,0 raggi solari. Oscurando il disco luminoso del Sole, analizza la corona più debole. “Fornisce gli stessi dettagli delle osservazioni da terra delle eclissi totali, ma anziché per pochi minuti, Metis è in grado di osservare continuamente“, afferma Marco Romoli dell’Università di Firenze, in Italia, e Responsabile Scientifico di Metis.
SoloHI registra immagini composte da luce solare, diffusa dagli elettroni nel vento solare. Un brillamento in particolare, il 31 marzo, ha raggiunto la classe X, quella dei brillamenti solari più energetici noti. I dati non sono ancora stati analizzati perché ne rimangono troppi sulla navicella spaziale in attesa di essere scaricati. Ora che Solar Orbiter è più distante dalla Terra, la velocità di trasferimento dei dati è rallentata e i ricercatori devono avere pazienza – ma sono più che pronti ad avviare la loro analisi quando infine arriveranno.
“Siamo sempre interessati ai grandi eventi perché producono le reazioni più potenti e i fenomeni fisici più interessanti, dal momento che si osservano gli estremi“, afferma Robin Colaninno, U.S. Naval Research Laboratory, Washington DC, e Responsabile Scientifico di SoloHI.
Un assaggio del prossimo futuro
Non c’è alcun dubbio che i team responsabili degli strumenti abbiano ora un bel da fare. Il perielio è stato un grandissimo successo e ha generato una enorme quantità di dati straordinari. E questo è solo un assaggio di quello che ci attende. La navicella spaziale è già in viaggio per allinearsi per il prossimo passaggio sul perielio, leggermente più vicino rispetto al precedente, il 13 ottobre a 0,29 volte la distanza Terra-Sole. Prima di allora, il 4 settembre, effettuerà il suo terzo sorvolo ravvicinato di Venere.
Solar Orbiter ha già scattato le prime immagini delle regioni polari largamente inesplorate del Sole, ma c’è ancora molto da scoprire.
Il 18 febbraio 2025, Solar Orbiter incontrerà Venere per la quarta volta. Ciò aumenterà l’inclinazione dell’orbita del veicolo spaziale fino a circa 17 gradi. Il quinto sorvolo di Venere, il 24 dicembre 2026, incrementerà ulteriormente l’inclinazione fino a 24 gradi e segnerà l’inizio della missione ad “alta altitudine”.
In questa fase, Solar Orbiter vedrà le regioni polari del Sole più direttamente che mai prima. Tali osservazioni con visuale diretta sono fondamentali per districare il complesso ambiente magnetico ai poli e questo potrebbe svelare il segreto del ciclo di attività crescente e calante di 11 anni del Sole.
“Siamo entusiasti della qualità dei dati del nostro primo perielio” dichiara Daniel Müller, Scienziato di Progetto dell’ESA per Solar Orbiter, “è difficile credere che questo sia solo l’inizio della missione. Ci terrà davvero molto occupati“.
Solar Orbiter
Solar Orbiter è una missione spaziale frutto della collaborazione internazionale tra ESA e NASA.
Precedenti perieli sono stato registrati il 15 giugno 2020 (0,52 AU), il 10 febbraio 2021 (0,49 AU) e il 12 settembre 2021 (0,59 AU). Il perielio del 26 marzo 2022, a 0,32 AU, è considerato il primo di una serie di perieli ravvicinati. Il prossimo si terrà il 13 ottobre 2022 a 0,29 AU. Sono pianificati 2-3 perieli ogni anno.