Creata “macchina del tempo” che simula il ciclo di vita delle galassie antiche

Le simulazioni cosmologiche sono fondamentali per studiare l'universo
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Per la prima volta, un team di ricercatori ha creato simulazioni che ricreano direttamente l’intero ciclo di vita di alcune delle più grandi raccolte di galassie osservate nel lontano universo 11 miliardi di anni fa: lo riporta uno studio pubblicato su Nature Astronomy.

Le simulazioni cosmologiche sono fondamentali per studiare in che modo l’universo è diventato com’è oggi, ma molte in genere non corrispondono a ciò che gli astronomi osservano attraverso i telescopi. La maggior parte sono progettate per corrispondere all’universo reale solo in senso statistico. Le simulazioni cosmologiche vincolate, d’altra parte, sono progettate per riprodurre direttamente le strutture che osserviamo effettivamente nell’universo. Tuttavia, la maggior parte delle simulazioni esistenti di questo tipo sono state applicate al nostro universo locale, cioè vicino alla Terra, ma mai per le osservazioni dell’universo lontano.

Un team di ricercatori, guidato dal Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe Project Researcher e dal primo autore Metin Ata e dal Project Assistant Prof. Khee-Gan Lee, si è concentrato su strutture lontane, come enormi protoammassi di galassie, che sono gli antenati degli odierni ammassi di galassie prima che potessero aggregarsi sotto la loro stessa gravità. Hanno scoperto che gli studi attuali sui protoammassi distanti a volte erano eccessivamente semplificati, il che significa che erano stati eseguiti con modelli semplici e non simulazioni.

Volevamo provare a sviluppare una simulazione completa dell’universo reale distante per vedere come sono iniziate le strutture e come sono finite,” ha affermato Ata. Il risultato è stato COSTCO (COstrained Simulations of The Cosmos Field).

Lee ha spiegato che lo sviluppo della simulazione è stato molto simile alla costruzione di una macchina del tempo. Poiché la luce del lontano universo sta raggiungendo la Terra solo ora, le galassie osservate dai telescopi oggi sono un’istantanea del passato.

È come trovare una vecchia foto in bianco e nero di tuo nonno e creare un video della sua vita,” ha affermato l’esperto. In questo senso, i ricercatori hanno scattato istantanee delle galassie “nonne” nell’universo da giovani e poi hanno fatto avanzare rapidamente la loro età per studiare come si sarebbero formati gli ammassi di galassie.

La luce delle galassie utilizzate dai ricercatori ha percorso una distanza di 11 miliardi di anni luce per raggiungerci. La cosa più difficile è stata prendere in considerazione l’ambiente su larga scala.

E’ qualcosa di molto importante per il destino di quelle strutture, siano esse isolate o associate a una struttura più grande. Se non prendi in considerazione l’ambiente, ottieni risposte completamente diverse. Siamo stati in grado di prendere in considerazione l’ambiente su larga scala in modo coerente, perché abbiamo una simulazione completa ed è per questo che la nostra previsione è più stabile,” ha affermato Ata.

Un altro motivo importante per cui i ricercatori hanno creato queste simulazioni è stato quello di testare il modello standard della cosmologia, utilizzato per descrivere la fisica dell’universo. Prevedendo la massa finale e la distribuzione finale delle strutture in un dato spazio, i ricercatori potrebbero svelare incongruenze precedentemente non rilevate nella nostra attuale comprensione dell’universo.

Usando le simulazioni, i ricercatori sono stati in grado di trovare prove di tre protoammassi di galassie i cui dettagli sono stati già pubblicati. Inoltre, sono stati in grado di identificare altre cinque strutture che si sono formate ripetutamente nelle loro simulazioni: ciò include il protosuperammasso Hyperion, il più grande e il primo protosuperammasso conosciuto oggi che è 5000 volte la massa della nostra galassia, la Via Lattea.

Il loro studio è già stato applicato ad altri progetti, inclusi quelli per lo studio dell’ambiente cosmologico delle galassie e le linee di assorbimento di quasar distanti, per citarne alcuni.

I dettagli sono stati pubblicati su Nature Astronomy il 2 giugno.

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