Scozia, nuovo referendum per l’indipendenza dal Regno Unito il 19 ottobre 2023: così Edimburgo sfida Londra

La Scozia ci riprova: fissata la data per un nuovo referendum indipendentista
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Il first minister scozzese, l’indipendentista Nicola Sturgeon rilancia la sfida al governo di Londra su un referendum bis per la secessione annunciando la presentazione di un progetto di legge locale al Parlamento di Edimburgo per la convocazione di un voto “consultivo” da tenersi secondo le sue intenzioni il 19 ottobre 2023. Il referendum dovrebbe riproporre lo stesso quesito respinto nel 2014. L’annuncio è stato fatto mentre la regina Elisabetta si trova a Edimburgo e malgrado il governo centrale britannico di Boris Johnson, che sulla carta dovrebbe dare il placet, abbia ripetutamente evocato il suo veto.

Edimburgo, così, rilancia la sfida con Londra invocando le vie legali, senza fughe in avanti alla catalana, per ora; ma lo fa spingendo al limite il braccio di ferro politico e arrivando a mettere già in calendario una data ravvicinata per quella rivincita della consultazione perduta dagli indipendentisti non più di 8 anni fa che nei sogni degli eredi di Braveheart dovrebbe finalmente portare all’ammainabandiera dell’Union Jack nel territorio al di là del vallo di Adriano, sotto l’ombra del solo vessillo con la croce di Sant’Andrea.

L’iniziativa porta la firma di Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party (Snp), il partito che dell’indipendenza ha fatto una ragione di vita, e first minister del governo locale scozzese, la quale ha annunciato oggi i dettagli di un progetto di legge attraverso cui il Parlamento di Holyrood, a Edimburgo, dovrebbe attribuirsi la potestà di convocare un nuovo voto “consultivo” da tenersi l’anno prossimo. Per arrivarci Sturgeon si mostra decisa ad affrontare il veto ribadito dal governo centrale britannico Tory di Boris Johnson, che sulla carta ha l’ultima parola, con un processo in due tappe: prima un ricorso alla Corte Suprema di Londra per cercare di ottenere un (improbabile) verdetto di legittimità sul progetto di legge scozzese in modo da provare a forzare la mano a Downing Street e a Westminster; poi, in caso di diniego, spostare la partita sul terreno elettorale, presentandosi al prossimo voto politico britannico con il referendum come unico punto del programma da sottoporre agli scozzesi.

L’annuncio è arrivato come uno schiaffo non voluto anche alla 96enne regina Elisabetta, giunta proprio in questi giorni a Edimburgo nell’ambito di un’ormai rarissima visita fuori sede confermata all’ultimo minuto, per trascorrere una settimana di soggiorno nel palazzo reale di Holyrood, partecipare a parate e appuntamenti istituzionali e provare a rinnovare il legame della corona con la fiera nazione del nord. Ma era in effetti stato preparato da tempo. La first minister ne ha illustrato i contorni di fronte ai deputati dell’assemblea elettiva locale, precisando d’aver affidato all’avvocato dello Stato scozzese, Dorothy Bain, massima autorità legale della nazione, il compito di depositare oggi stesso alla Corte Suprema il testo del progetto di legge. Ha aggiunto di volerne chiarire i dettagli anche in una lettera destinata a Johnson, che il premier – impegnato in un vertice cruciale della Nato in corso a Madrid sullo sfondo della crisi ucraina – ha già promesso di voler “studiare con attenzione“: pur facendo sapere a stretto giro di continuare a ritenere che” non sia il tempo” nemmeno di tornare a parlare di un referendum sulla secessione; e che comunque la scelta del governo scozzese di rivolgersi ai supremi giudice del Regno impone per il momento d’aspettarne il giudizio. Sturgeon ha del resto assicurato di essere “pronta a negoziare” con BoJosui termini” della faccenda: come a dire, niente forzature sul modello Catalogna (rivelatosi fallimentare nel contesto della Spagna). Ma ha pure lanciato un monito sibillino, dicendosi indisponibile a “consentire che la democrazia scozzese sia tenuta prigioniera da Boris Johnson o da qualunque altro primo ministro“. E determinata ad assicurare comunque “al popolo della Scozia un referendum legale e costituzionale“.

Il secco quesito destinato in teoria a essere sottoposto a un secondo sì o no dovrebbe ricalcare quello di 8 anni or sono: “Deve la Scozia essere un Paese indipendente?“. Dilemma ridondante e come minimo prematuro per il governo Tory di Johnson, tenuto conto che la chiamata alle urne del 2014 fu sdoganata con l’impegno ad accettarne il responso come quello di “una generazione“. Ma che Sturgeon e il suo partito sostengono d’avere il diritto e il mandato democratico di riproporre, in forza dei loro consensi e soprattutto del cambiamento di scenario prodotto dalla Brexit: sancita per tutto il Regno nel 2016 da una maggioranza di elettori inglesi (e gallesi), ma solo da un 38% di scozzesi.

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