Un bambino su 50mila, con gli screening neonatali, soffre di una forma grave di immunodeficienza su base genetica. Tuttavia, per ogni caso diagnosticato, tre non vengono riconosciuti in tempo e muoiono entro il primo anno di vita. Una situazione grave, per la quale è necessaria un’estensione della metodologia scientifica alla pediatria territoriale, per incrementare la sorveglianza da parte dei medici su queste forme rare. Di questo e molto altro si parlerà il 13 e 14 giugno a Napoli, in occasione del convegno nazionale della Società Italiana di Ricerca Pediatrica. L’evento, articolato in più sessioni, vedrà la presenza di specialisti provenienti dai più qualificati centri di ricerca applicata alle patologie del bambino.
“Le sindromi da immunodeficienza sono una vera emergenza, perché la maggior parte di questi piccoli pazienti non vengono diagnosticati e vanno incontro a un esito infausto a causa del ritardo nella partenza delle terapie – afferma il professor Claudio Pignata, Ordinario di Pediatria Presidente Società Italiana di Ricerca Pediatrica Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali Università Federico II –. Per poter individuare e curare per tempo questi bambini, è fondamentale il coinvolgimento diretto dei pediatri di famiglia. Abbiamo un progetto di ricerca, coordinato dalla dott.ssa De Giovanni, dedicato proprio alle strategie per aumentare l’attenzione dei medici: i sintomi precoci devono essere riconosciuti, è necessario intervenire in tempi stretti per assicurare il corretto funzionamento dei farmaci.” Durante la due giorni si discuterà anche di post-Covid, progetti di alto profilo scientifico e modalità di lavoro interdisciplinari. “Un’importante novità sono i risultati del primo studio pilota sulla dieta mediterranea applicata al bambino, che mostrano i benefici di questo tipo di alimentazione ricca di frutta e verdura anche sui più piccoli – sottolinea Pignata –. Ci stiamo inoltre concentrando molto sulle previsioni della pediatria da oggi al 2050: nei 30 anni passati, la medicina si è trasformata radicalmente. Oggi, complici l’accelerazione del processo di conoscenza, la qualità delle cure e il numero di pazienti identificati, ci aspettiamo cambiamenti ancora maggiori, non solo dal punto di vista scientifico ma anche da quello della rete organizzativa italiana. Abbiamo un problema importante inerente al finanziamento pubblico della ricerca pediatrica, eccessivamente penalizzato rispetto ad altri ambiti della medicina. Il convegno sarà l’occasione unica per un confronto con le modalità di sovvenzione degli altri Paesi del mondo: saranno infatti presenti ospiti internazionali da USA, Germania e Inghilterra. Come SIRP proponiamo la creazione di un’agenzia indipendente che garantisca la correttezza del processo di revisione delle proposte presentate. Vorremmo che le valutazioni venissero effettuate da specialisti del settore specifico. È inoltre importante dare grande spazio ai giovani e pensare al turnover per tempo, perché la preparazione scientifica è molto lunga, richiede almeno 10 anni di studi. Per questo cerchiamo di coinvolgere e incoraggiare i ‘nuovi’ pediatri a intraprenderla. Ci piacerebbe dare il via a un programma sperimentale dedicato a chi ha interesse per la ricerca, che preveda l’inserimento di un percorso di alto profilo scientifico durante il corso di specializzazione.”
“È fondamentale che le istituzioni riconoscano il ruolo vitale della ricerca scientifica, assicurino fondi e supportino gli specialisti, in particolar modo quando si parla di pediatria – dichiara l’Onorevole dottor Paolo Siani, pediatra, vicepresidente della commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza e già direttore dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria dell’ospedale Santobono-Pausilipon di Napoli –. Innovazione in questo ambito significa guardare ai cittadini del futuro, garantire loro una buona salute e permettere che gli studi non si fermino mai. La ricerca ha avuto un importante sviluppo dopo la pandemia, in particolare per le sindromi post SARS-CoV-2, che colpiscono anche i più piccoli. Per loro la SIRP ha ideato un progetto nazionale, il ‘long-COVID kids’. Sono numerose le altre patologie in studio. Oggi sono di grande interesse le terapie a base di farmaci biologici, in grado di agire con meccanismi di medicina di precisione. Sono stati evidenziati ottimi risultati nel trattamento della dermatite atopica, come evidenziato dalla prof.ssa Moschese e di alcuni disordini autoimmuni e di malattie generiche come le sindromi di Pompe e Wilson. Per quest’ultima, le terapie sperimentali hanno cambiato completamente lo scenario.”