“Dall’analisi dei dati epidemiologici e clinici” relativi ai primi casi italiani di vaiolo delle scimmie, “e dallo studio dei vari campioni biologici in cui il virus è stato identificato, l’ipotesi della trasmissione per contatto diretto durante i rapporti sessuali è ritenuta plausibile“: è quanto hanno concluso i ricercatori dell’Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, che su “Eurosurveillance”, la rivista scientifica del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, hanno pubblicato uno studio che descrive le prime infezioni di Monkeypox virus osservate nel nostro Paese, tutte “in persone di sesso maschile“. L’articolo – ha spiegato dall’Istituto – rappresenta, insieme ad altre due ‘rapid communication’ di ricercatori inglesi e portoghesi uscite sullo stesso numero di Eurosurveillance, “la prima descrizione dettagliata della malattia, nell’ambito del focolaio che sta interessando diversi Paesi europei e non“. Alla descrizione dei casi ha collaborato anche l’Unità di malattie infettive dell’ospedale San Donato di Arezzo.
Il virus dei casi italiani “appartiene al clade West Africa“, il ceppo dell’Africa occidentale considerato più lieve, “in modo analogo al virus identificato da altri ricercatori europei nell’attuale focolaio di malattia,” ha sottolineato l’Inmi. Nello studio “è anche riportata la descrizione della sequenza genomica virale, completa di analisi bioinformatica e filogenetica, del primo Monkeypox virus italiano“. La sequenza, “già registrata il 26 maggio sul sito GeneBank come prima sequenza in Italia“, dimostra che il virus dei casi italiani è dello stesso tipo di quello degli altri focolai d’Europa.