C'è anche l'Italia tra le prime foto realizzate dal potente telescopio spaziale James Webb e rilasciate oggi dalla NASA. In particolare, “parla italiano” l'immagine dello spettacolare quintetto di galassie, noto come lo 'Stephan's Quintet'. A garantire la messa a fuoco ottimale dello spettrometro infrarosso NIRSpec e quindi l’eccezionale nitidezza delle sue immagini, nonché l'alta definizione della composizione spettrale delle stelle e galassie osservate, è infatti uno strumento realizzato da Leonardo negli stabilimenti di Campi Bisenzio (Firenze).
Si tratta del meccanismo criogenico di rifocheggiamento RMA, fornito da Leonardo che ha anche realizzato i sensori stellari necessari al controllo d'assetto del telescopio. Proprio il meccanismo di rifocheggiamento RMA è stato determinante nello scatto dello 'Stephan's Quintet', una immagine composta da oltre 150 milioni di pixel e costruita a partire da quasi 1.000 porzioni di fotografie separate. Thales Alenia Space, joint venture tra Thales (67%) e Leonardo (33%), ha invece realizzato il trasponditore per lo spazio profondo nei suoi laboratori di Roma e L'Aquila.
L'Italia ha un ruolo di primo piano nell'interna missione spaziale nata dalla collaborazione fra NASA, Agenzia Spaziale Europea (ESA) e Agenzia spaziale canadese (CSA), a cui il nostro Paese partecipa attraverso l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e l'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Dei 266 programmi prescelti per il primo anno di osservazioni scientifiche del nuovo telescopio, nove sono guidati da ricercatori italiani: sette dall'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), e gli altri due dall'Università di Milano-Bicocca e dalla Scuola Normale Superiore di Pisa.
Di seguito un commento del Presidente dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Marco Tavani: "le prime immagini realizzate dal James Webb Space Telescope ci confermano le straordinarie potenzialità di questo strumento spaziale: nebulose, galassie, ammassi di galassie, che ci appaiono con un livello di dettaglio mai visto prima. Ma dopo lo stupore, inizia la fase per cui Webb è stato realizzato: fare scienza e aiutarci a conoscere meglio il nostro universo. L'Istituto Nazionale di Astrofisica è fortemente coinvolto negli aspetti scientifici di questa missione. I ricercatori e le ricercatrici dell'INAF coordinano 7 programmi tra quelli che utilizzeranno i primissimi dati raccolti dal JWST durante il primo anno di osservazioni. Altre ne seguiranno. Attualmente, l'Italia è presente in oltre 40 programmi scientifici e ha a disposizione oltre 1500 ore di tempo osservativo sull’avveniristico osservatorio spaziale. In particolare, l'INAF con il telescopio spaziale Webb studierà le nane brune – corpi celesti a metà tra pianeti e stelle -, la nascita di stelle in ambienti estremi, l’origine dei potenti getti di materia durante la formazione stellare, come si formano le galassie più massicce dell’universo, il ruolo dei buchi neri supermassicci nell’evoluzione galattica e la prima, elusiva generazione di stelle del cosmo. La nostra comunità è orgogliosa di essere parte attiva in questa straordinaria missione".
Anche l’Università di Bologna “guarderà” in Webb con 2 progetti di osservazione
Mentre il James Webb Space Telescope (JWST) entra ufficialmente in attività e mostra al mondo le sue prime spettacolari immagini, l’Università di Bologna è pronta ad avviare i primi programmi di ricerca realizzati grazie alle capacità del più grande telescopio spaziale di sempre. Nei prossimi mesi, partiranno infatti due progetti che vedranno coinvolti ricercatori del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Alma Mater: il progetto COSMOS-Web e il progetto Blue Jay.
COSMOS-Web è il più grande programma osservativo selezionato per il primo anno di attività di JWST: le osservazioni partiranno nel mese di dicembre, con l'ambizioso obiettivo di osservare mezzo milione di galassie nel vicino infrarosso ad alta risoluzione e 32.000 galassie nel medio infrarosso, un numero ad oggi senza precedenti.
Il programma mapperà un’area di cielo pari a 0,6 gradi quadrati – circa l’area di cielo coperta da tre lune piene – utilizzando lo strumento chiamato NIRCam, che opera nel vicino infrarosso. Allo stesso tempo sarà anche mappata un’area più piccola, pari a 0,2 gradi quadrati, con lo strumento MIRI, che opera invece nel medio infrarosso. Osservare nell'infrarosso è essenziale perché è in questa regione spettrale che stelle, gas e polveri interstellari delle galassie distanti emettono la maggior parte della radiazione.
"Il progetto COSMOS-Web ha tre obiettivi principali: studiare l’epoca in cui si sono formate le prime stelle e galassie nell'Universo primordiale, osservare nel dettaglio le galassie già mature nell'Universo giovane e stimare la quantità di materia oscura", spiega Margherita Talia, ricercatrice dell'Università di Bologna coinvolta nel progetto, a cui parteciperà anche lo studente di dottorato Unibo Fabrizio Gentile.
Il ricercatore dell’Alma Mater Sirio Belli è invece il Principal Investigator del progetto Blue Jay, che effettuerà osservazioni tra novembre e dicembre. L'obiettivo è osservare circa 150 galassie che si trovano nel "mezzogiorno cosmico" (Cosmic Noon): un'epoca, circa 10 miliardi di anni fa, in cui la crescita delle galassie più estese a noi note ha raggiunto il suo apice.
"Con questo progetto vogliamo soprattutto misurare l'età e la composizione chimica di queste galassie che osserviamo in un'epoca lontana, quando l'universo era ancora giovane, per poter capire come si siano formate", spiega Belli.
Per ottenere questi risultati, Blue Jay utilizzerà due degli strumenti a bordo del James Webb Space Telescope: lo spettrografo del vicino infrarosso NIRSpec, che può osservare più di cento galassie simultaneamente, e la fotocamera per il vicino infrarosso NIRCam.
L’Università di Bologna, con il Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”, sarà insomma tra i protagonisti delle tante scoperte e novità svelate grazie alle potenzialità uniche del JWST. Il cui grande specchio a tasselli di 6,5 metri di diametro trae origine da un’idea nata e sviluppata settant’anni fa proprio all'Alma Mater dal grande astronomo e intellettuale Guido Horn d’Arturo.