L’utilizzo delle mascherine nella pratica sportiva è inutile. A dirlo è lo studio “Covid-19 e Attività Sportiva in Età Giovanile”, proposto dallo IEO – Istituto Europeo di Oncologia di Milano in collaborazione con UISP – Unione Italiana Sport Per tutti Lombardia e recentemente pubblicato sulla rivista Int J Environ Res Public Health. Lo studio ha dimostrato come le mascherine utilizzate durante l’attività sportiva non hanno alcun impatto sulla diffusione del SARS-CoV-2. Questi risultati possono essere spiegati con il fatto che la mascherina utilizzata può bagnarsi o sporcarsi, aumentando forse la proliferazione di colonie fungine e batteriche, come osservato anche in un recente studio pubblicato su Scientific Report, rivista del gruppo Nature. Per questo l’American Academy of Pediatrics ha sconsigliato l’uso delle mascherine durante l’attività sportiva.
Lo studio ha inoltre dimostrato che, tra le misure preventive utilizzate nei Centri Sportivi, il triage e il divieto di utilizzare spogliatoi e docce sono stati i più efficaci. Precedenti studi hanno dimostrato che il periodo sintomatico è quello con la più alta probabilità di infezione, suggerendo così di evitare di praticare sport con febbre o altri sintomi importanti per prevenire efficacemente la diffusione di SARS-CoV-2.
E’ stata inoltre esclusa l’ipotesi che il Covid-19 potesse essere diffuso dai giovani atleti (solitamente a basso rischio di malattia grave) ai familiari conviventi più fragili. I risultati suggeriscono che nessun aumento del rischio di infezione da SARS-CoV-2 in famiglia potrebbe essere attribuito alla partecipazione di giovani atleti alle attività sportive. La paura che i giovani atleti potessero essere veicolo di infezione con i famigliari è stato uno dei motivi principali della chiusura delle attività sportive negli scorsi anni. E’ stata invece osservata una probabilità significativamente più bassa di essere positivi al SARS-CoV-2 per i soggetti che avevano praticato sport in Centri/Società Sportive organizzati rispetto a quelli che non avevano praticano sport. Questo risultato può essere parzialmente spiegato da un miglioramento del sistema immunitario in seguito all’attività sportiva che ha protetto gli atleti sani dall’infezione grave da Covid-19 e ad un maggior controllo e monitoraggio degli allenamenti all’interno di queste realtà rispetto ad altri contesti di attività sociali.
La ricerca ha indagato sia i rischi connessi ai contagi da SARS-CoV-2, sia i cambiamenti legati alle misure di contenimento, in particolare la chiusura delle attività sportive, per capire che impatto abbiano avuto sulla vita quotidiana e il benessere psicofisico di bambini e giovani dai 6 ai 25 anni. Lo studio, anche grazie alla partnership con società sportive e associazioni sportive quali UISP Lombardia, CSI, FIN Veneto e FIGC, ha avuto oltre 2000 adesioni da tutta Italia. Se da un lato la chiusura delle attività sportive non è apparsa utile per limitare il diffondersi dei contagi, dall’altro queste chiusure, unite alla pandemia in atto, hanno modificato radicalmente lo stile di vita della popolazione, in particolare dei giovani e delle persone più fragili. Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ritengono particolarmente importante lo svolgimento di attività fisica per un corretto sviluppo e una migliore salute generale, in particolare nei bambini e ragazzi.
“I dati forniti dallo studio IEO ci aiutano a capire come gestire il mondo dello sport durante le prossime ondate di Covid-19 e anche nell’eventualità di future nuove pandemie – spiega Geraldina Contristano, presidente di UISP Lombardia – Grazie a questo studio sappiamo quali sono i protocolli di prevenzione efficaci e quali invece risultino invece non funzionali. Tra questi ultimi sappiamo esserci il lockdown dello sport“.
“Le evidenze scientifiche riportate dalla ricerca ci permettono di capire come numerose scelte passate siano state inutili per il contenimento del virus – afferma Antonio Iannetta, dirigente di UISP – Il mondo dello sport è stato gravemente colpito in questi anni, ora serve un nuovo passo per valorizzare e sostenere un settore fondamentale per le politiche pubbliche della salute rivolte al benessere dei giovani cittadini italiani“.
“Lo stile di vita, che va dall’attività fisica alle abitudini alimentari, sono elementi chiave nella salute delle persone che influenzano tutte le patologie croniche, incluse quelle oncologiche, per cui è fondamentale acquisire buone abitudini fin dall’infanzia – afferma Sara Raimondi, epidemiologa allo IEO e primo nome dell’articolo – Il nostro studio ha evidenziato come la chiusura delle attività sportive abbia portato ad un aumento del peso corporeo e abbia ridotto la percentuale di bambini e ragazzi che avevano un adeguato livello di attività fisica rispetto alle raccomandazioni dell’OMS“.