Sono ben 52 le gigatonnellate di ghiaccio perse a causa dell’ablazione frontale da circa 1.500 ghiacciai nell’emisfero settentrionale (esclusa la calotta glaciale della Groenlandia) dal 2010 al 2020. E’ quanto evidenziato da un documento pubblicato su Nature Communications. Secondo lo studio, il processo può avere un controllo più forte sulla perdita di massa dai ghiacciai rispetto allo scioglimento in alcune regioni. Ma non solo. Ha implicazioni per la valutazione dell’innalzamento del livello del mare e per l’identificazione delle aree di hotspot in cui avviene questo processo.
I ghiacciai perdono massa attraverso diversi processi. L’ablazione frontale, che include anche il formarsi dell’iceberg, si riferisce al meccanismo mediante il quale il ghiaccio viene perso dai ghiacciai nell’oceano. Si tratta di un processo indipendente dallo scioglimento superficiale. Ricerche precedenti hanno calcolato solo alcuni tipi di ablazione frontale nell’emisfero settentrionale.
Per valutare il ruolo dell’ablazione frontale dal 2000 al 2020, William Kochtitzky e colleghi hanno identificato circa 1.500 ghiacciai terminali marini nell’emisfero settentrionale. Sono tutti separati dalla calotta glaciale della Groenlandia. I ricercatori hanno combinato misurazioni o stime dello spessore del ghiaccio, della velocità superficiale e dei cambiamenti nella sua posizione finale. Hanno così scoperto che l’ablazione frontale può essere il maggiore contributo alla perdita di massa in alcune regioni.
Gli autori suggeriscono che la scarica di ghiaccio dal 2000 al 2020 è stata l’equivalente di circa 2,10 mm di innalzamento del livello del mare. Dal 2010 al 2020 l’ablazione frontale ha contribuito con circa 52 gigatonnellate di ghiaccio agli oceani. Hanno anche valutato quali aree sono interessate da questo processo, identificando potenziali punti caldi e impatti sull’ecosistema marino. Tra le aree costiere più colpite ci sono l‘Artico russo, le Svalbard e l’Alaska.