Con HUGO scopriremo raggi gamma agli albori dell’universo

HUGO è un telescopio specificamente progettato e ideato per dare la caccia a GRB lontani nello Spazio e nel tempo
MeteoWeb

In un articolo pubblicato ieri sulla rivista Nature Astronomy, un team internazionale guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) presenta un metodo per scovare i lampi di raggi gamma (GRB, dall’inglese gamma-ray burst) lontanissimi, sfruttando osservazioni combinate nella luce visibile e nel vicino infrarosso. I GRB sono fenomeni transienti impulsivi al centro di continue rivoluzioni scientifiche e l’INAF è impegnato sia sul piano osservativo-interpretativo che con la partecipazione a grandi missioni dallo spazio per rilevarli e studiarli. L’idea dei ricercatori è quella di costruire HUGO (High-redshift Universe GRB Observatory), un telescopio specificamente progettato e ideato per dare la caccia a GRB lontani nello spazio e quindi anche nel tempo, che potrebbero essere avvenuti anche oltre 13 miliardi di anni fa.

Ricerche con strumenti sempre più avanzati, come quelle effettuate con il telescopio spaziale James Webb della NASA, hanno permesso di scoprire e studiare galassie sempre più lontane arrivando fino all’alba dell’Universo. Queste galassie, la cui luce appare “arrossata” per effetto dell’espansione dell’Universo (il cosiddetto redshift, o spostamento verso il rosso), sono però molto deboli e difficili da studiare in dettaglio. Ecco allora che diventano decisivi in queste indagini i lampi gamma, esplosioni che rilasciano getti di materia con velocità prossime a quelle della luce. Si tratta di eventi incredibilmente energetici, che osserviamo come lampi estremamente luminosi nelle frequenze dei raggi gamma, così intensi da sopraffare qualsiasi altra sorgente di alta energia nel cielo. I lampi gamma della durata di qualche secondo o più sono associati all’esplosione di una stella di massa superiore ad almeno una decina di volte quella del Sole, giunta alla fine del suo ciclo evolutivo. Dopo la fase esplosiva iniziale, i GRB sono caratterizzati da una fase di declino, della durata di qualche giorno, chiamata afterglow, durante la quale sovrastano in luminosità la galassia che li ospita anche di 100 volte.

Per trovare GRB ad altissimo redshift, emesso in un’epoca in cui l’universo aveva un’età inferiore a un miliardo di anni, i ricercatori propongono di “costruire un telescopio infrarosso con lo stesso grande campo di vista del Vera Rubin Observatory (VRO), che è un telescopio di 8,4 metri di diametro in fase avanzata di costruzione da parte di un consorzio americano in Cile. Questo nuovo telescopio, che noi abbiamo chiamato HUGO, dovrebbe avere un diametro di 3 o 4 metri e osservare esattamente gli stessi campi di VRO, allo stesso tempo (in tandem). Le sorgenti transienti rivelate con questo telescopio, e ‘non’ rivelate da VRO, sono con grande probabilità, GRB ad alto/altissimo redshift. Abbiamo stimato che si potrebbero osservare circa 10 GRB avvenuti oltre 12,8 miliardi di anni fa (con un valore di redshift maggiore di 6) e addirittura qualcuno emesso anche 13,2 miliardi di anni fa, quindi circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang (ovvero con un valore di redshift maggiore di 10)”, spiega Sergio Campana, primo autore dell’articolo e ricercatore presso l’INAF di Milano “e la nostra tecnica apre le porte allo studio della reionizzazione e dell’evoluzione chimica dell’universo primordiale. Con un po’ di fortuna si potrebbero anche rivelare le primissime stelle che si sono accese”.

Rilevare lampi di raggi gamma così lontani nell’Universo è difficile: basti pensare che il satellite Swift, in quasi 18 anni di attività in orbita, ne ha scovati “solo” 9. Perché? I GRB lontani sono deboli e sono difficili da rivelare con i satelliti sensibili alla radiazione di alta energia. Una volta rivelati poi è difficile capire se provengano davvero dall’universo lontano o se non siano semplicemente dei GRB deboli nell’universo vicino. “Questo è il punto: distinguere i GRB intrinsecamente deboli (e quindi vicini) da quelli deboli, perché lontani. L’Universo è opaco alla radiazione ottica proveniente da oggetti ad alto redshift, a causa dell’assorbimento dell’idrogeno lungo la linea di vista, e questo ci aiuta: per un GRB ad alto redshift non si vedrà nessun afterglow nelle immagini ottiche, mentre sarà rilevabile nelle immagini infrarosse, dove l’assorbimento dell’idrogeno è ininfluente. La condizione necessaria è che esista un potente telescopio a grande campo che possa osservare il cielo in banda ottica e in profondità. Quindi, transienti impulsivi visti in infrarosso e non visti in ottico sono candidati molto forti per provenire dall’universo lontano” aggiunge il ricercatore.

E sottolinea: “La condizione necessaria per applicare la nostra idea è che esista un potente telescopio a grande campo che possa osservare il cielo in banda ottica in profondità, in modo da escludere i GRB vicini e deboli. Se si osserva un transiente infrarosso e alla stessa posizione e allo stesso tempo non si vede nulla, è fatta: abbiamo un convincente candidato GRB ad alto redshift. Questo telescopio ottico ora esiste: VRO. Sulle spalle di questo gigante si potrebbe costruire un telescopio infrarosso che ci apra le porte dell’universo primordiale”.

Gli esperti sostengono che l’astronomia infrarossa da terra con un telescopio medio-piccolo possa essere un modo economico e competitivo per studiare gli albori dell’Universo, al pari di costose e complesse missioni spaziali presenti e future. Campana conclude: “Questa tecnica permette di puntare il dito in cielo e dire a tutti i grandi strumenti presenti e futuri (JWST, ELT, SKA, Athena): guardate là, in quel punto esatto c’è una delle prime galassie ‘normali’ che si sia formata nell’Universo lontano”.

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