Dall’Italia all’Everest: come cambia la percezione del dolore in alta quota

Un Progetto Internazionale, al via oggi 20 ottobre, studierà gli adattamenti fisiologici all'alta quota
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Al via oggi, 20 ottobre, il Progetto Internazionale “Lobuje Peak-Pyramid: Exploration & Physiology 2022“: fino all’8 novembre 2022 impegnerà un gruppo di 22 italiani, uomini e donne, di età compresa tra i 20 e i 60 anni, ed è seguito e supportato dall’agenzia Dire. Dopo un anno di preparazione fisica e mentale, il gruppo dovrà arrivare alla base dell’Everest presso la Piramide di Desio, osservatorio e laboratorio internazionale a 5000 m di quota.

Il progetto studierà gli adattamenti fisiologici all’alta quota: indagherà sui vari aspetti della fisiologia umana e farà un confronto delle risposte adattative, tra le popolazioni caucasiche e quelle dei nativi nepalesi di differenti etnie compresa quella degli Sherpa.

Gli obiettivi del progetto sono rilevare, registrare e studiare, durante le varie tappe del viaggio, i parametri fisiologici e clinici, le performance fisiche individuali e l’impatto psicologico che un viaggio del genere può avere su sportivi a livello non agonistico.

Si parte quindi oggi, da Kathmandu, con i primi test medici. Verrà studiato anche lo stimolo doloroso la percezione che cambia da persona a persona. L’agenzia di stampa Dire ne ha parlato con la professoressa Anna Maria Aloisi, ordinaria di Fisiologia all’Università di Siena (Unisi) e direttrice dell’European Pain School (EPS) dell’Università di Siena.

Mi occupo da sempre di studiare il dolore che rientra come oggetto di studio anche in questo progetto ‘Lobuje Peak-Pyramid: Exploration & Physiology 2022’ che parte ufficialmente oggi. Ho partecipato in passato, nel 2012, come membro scientifico in una precedente spedizione. Nella pregressa esperienza mi sono resa conto, seppur camminando molte ore al giorno, di non provare mai dolore. Una cosa che mi ha incuriosita moltissimo. Da qui l’idea di partire di nuovo e approfondire questo aspetto,” ha spiegato l’esperta alla Dire. “In generale sappiamo già che con l’altitudine c’è una diminuzione della sensibilità, così pure è vero che si riduce la fame e la sete. Credo ci sia un’influenza notevole dell’altitudine sulla soglia del dolore. Per questo, all’interno dei vari trial previsti dal progetto, faremo delle prime prove oggi a Kathmandu e forniremo ai 22 partecipanti dei questionari da compilare“.

Applicheremo uno stimolo meccanico precisamente un algometro– dichiara all’agenzia Dire Aloisi- che è una apparecchiatura molto semplice, una specie di punta abbastanza larga che viene pigiata su un distretto preciso del corpo che può essere una spalla, un braccio o altri punti precisi che vengono usati nella pratica clinica e il paziente può riferire se e quanto dolore prova. Questi test verranno ripetuti anche nei giorni successivi di trek e anche all’interno dei laboratori del Centro Piramide del Cnr“.

E’ noto come diminuisca in alta quota tutta la sensibilità, come pure è un dato acquisito che le donne percepiscano prima il dolore e siano caratterizzate naturalmente da una soglia più bassa dello stesso rispetto agli uomini. Non a caso le sindromi caratterizzate dal dolore cronico tipo fibromialgia colpiscono più le donne che gli uomini, sono maggiormente afflitte dal mal di testa e dal dolore temporo-mandibolare. Mentre le cefalee a grappolo colpiscono di più gli uomini che le donne“. “La spiegazione è da ricercare nel ruolo ricoperto dagli ormoni. Nel caso delle donne, gli estrogeni sono iperalgesici e cioè che producono una aumentata percezione del dolore. Mentre il testosterone degli uomini è un analgesico naturale ed è per questo che avvertono meno il dolore“.

Sono condizioni, quelle che andremo a valutare, che riscontriamo non solo in alta quota ma anche nella pratica clinica. Abbiamo fatto i conti, anche durante i mesi più duri della pandemia con l’ipossia, cioè la carenza di ossigeno, tipica dei pazienti Covid positivi che presentavano un’affezione alle vie aeree e quindi sicuramente una ossigenazione peggiore. Perciò questa spedizione sarà davvero utile e in grado di fornire delle risposte per indagare anche l’impatto in quota della mancanza di ossigeno sui soggetti sani,” ha concluso la prof.ssa Aloisi.

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