Colesterolo cattivo: qual è il valore “sicuro” per i pazienti a rischio

A una riduzione del colesterolo LDL di circa 40mg/dL corrisponde una diminuzione del 21% degli eventi cardiovascolari maggiori
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Le malattie cardiovascolari sono responsabili di oltre 4 milioni di morti l’anno in Europa e rappresentano la principale causa di morte in Italia con oltre 230.000 decessi ogni anno, circa il 40% del totale. Contrastare l’insorgenza e la progressione di aterosclerosi, infarto e ictus è possibile attraverso l’adozione di corretti stili di vita e tenendo sotto controllo i principali fattori di rischio. Tra questi, il colesterolo LDL, conosciuto anche come “colesterolo cattivo”, che negli ultimi anni è stato ‘elevato’ dalla comunità scientifica internazionale da fattore di rischio a fattore causale dello sviluppo di malattie cardiovascolari, ritoccando verso il basso i target terapeutici per i pazienti dislipidemici. Una conferma viene dalle ultime linee guida europee che identificano in “The lower the better” la strategia di controllo dell’ipercolesterolemia.

Su questi temi si sono confrontati a Roma i massimi esperti della Cardiologia italiana insieme a rappresentanti delle Istituzioni, della Medicina Generale e dei Farmacisti durante l’evento “NeoLipid – La gestione dell’ipercolesterolemia in Italia: dall’epidemiologia all’intervento clinico”, organizzato con il contributo di Neopharmed Gentili, azienda farmaceutica italiana specializzata nel trattamento delle principali patologie cardio-metaboliche.

Gli esperti hanno sottolineato l’importanza di non trascurare i livelli di colesterolo LDL che impattano sul destino della salute cardiovascolare della popolazione dei Paesi occidentali.

“Le evidenze raccolte in numerosi studi epidemiologici, genetici e trial randomizzati hanno dimostrato in maniera inequivocabile che le lipoproteine a bassa densità sono il fattore che determina lo sviluppo della malattia cardiovascolare aterosclerotica. Questa variabile biologica è controllata attraverso il dosaggio e la verifica della colesterolemia LDL, il cosiddetto “colesterolo cattivo”, che è quindi la causa principale dell’insorgenza e della progressione di questa malattia degenerativa dell’apparato cardiocircolatorio”, spiega Furio Colivicchi, presidente ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri. “Le azioni cliniche e farmacologiche che riducono i livelli di colesterolemia LDL determinano un miglioramento della prognosi, vale a dire un minor rischio di andare incontro a un evento cardiovascolare avverso quale infarto, ictus o morte cardiaca improvvisa. Quanto più è alto il colesterolo LDL, tanto peggiore è l’aspettativa di vita. Quanto più è basso questo parametro, in ragione dell’intervento terapeutico, tanto migliore sarà il destino del paziente”.

“Tra i fattori di rischio cardiovascolare, il colesterolo e il fumo di sigaretta sono di gran lunga quelli che hanno il peso più importante”, afferma Pasquale Perrone Filardi, presidente deletto SIC – Società Italiana di Cardiologia. “C’è una legge molto chiara, dimostrata negli studi clinici sull’impiego di qualunque farmaco o intervento terapeutico che agisce sul colesterolo: a una riduzione del colesterolo LDL di circa 40mg/dL corrisponde una diminuzione del 21% degli eventi cardiovascolari maggiori (infarto, ictus, morte cardiovascolare), indipendentemente dal valore di partenza”.

Le Line Guida Europee (ESC-EAS 2019) identificano i livelli di sicurezza del colesterolo LDL in rapporto al profilo di rischio: nella popolazione generale apparentemente sana, il colesterolo LDL deve essere inferiore a 116mg/dL; in pazienti con rischio moderato, ad esempio gli ipertesi o i fumatori, che non hanno avuto eventi acuti, il parametro deve essere tenuto al di sotto di 100mg/dL; nei soggetti con rischio elevato, quali ad esempio le persone con diabete in cui sono presenti anche altri fattori di rischio, il parametro deve essere inferiore a 70mg/dL; infine, per tutti coloro che hanno avuto un evento maggiore (infarto, ictus, pazienti sottoposti ad angioplastica o bypass aortocoronarico), il colesterolo LDL deve essere inferiore a 55mg/dL.

“Nei soggetti ad elevato rischio, i livelli di colesterolo LDL devono essere molto bassi, anche inferiori a 40mg/dL in quei pazienti che hanno avuto due infarti nell’arco di ventiquattro mesi”, dichiara Ciro Indolfi, presidente SIC. L’aspetto positivo è che abbiamo a disposizione terapie efficaci (statine, ezetimibe, farmaci biologici) che consentono di raggiungere i target terapeutici suggeriti dalle Linee Guida. Inoltre, nei pazienti che hanno avuto un evento cardiovascolare avverso, si registrano più alti livelli di aderenza terapeutica rispetto alle persone in prevenzione primaria, in ragione di una maggiore consapevolezza del rischio di mortalità cui sono esposti”.

Nella popolazione generale, invece, il colesterolo alto non è percepito come una condizione grave per la salute cardiovascolare in quanto, a differenza di altri fattori di rischio, non provoca sintomi immediati. Ne consegue che solo il 43% dei pazienti che assume farmaci ipolipemizzanti è aderente alla terapia prescritta. La scarsa aderenza, cui segue il non raggiungimento dei livelli terapeutici target, comporta il mantenimento, nel tempo, di elevati livelli di colesterolo LDL, con una maggiore probabilità di sviluppare la malattia aterosclerotica ed eventi cardiovascolari.

“L’aderenza alla terapia rimane un problema molto rilevante per le patologie cardiologiche in generale e, in particolare, per le dislipidemie”, spiega Fabrizio Oliva, presidente eletto AMCO. Promuovere l’aderenza vuol dire riuscire a migliorare il rapporto medico-paziente, segnalando l’importanza dell’assunzione della terapia e i rischi connessi alla mancata compliance ai trattamenti raccomandati. Un obiettivo che coinvolge lo specialista cardiologo, il medico di medicina generale e il farmacista”.

“Quando si parla di prevenzione del rischio cardiovascolare, è importantissimo il ruolo del medico di famiglia che deve rapportarsi con il cardiologo, assicurando la continuità terapeutica tra ospedale e territorio”, dichiara Fiorenzo Corti, Vicesegretario nazionale FIMMG – Federazione Italiana Medici Medicina Generale. Formazione e organizzazione sono due fattori chiave per il raggiungimento dei risultati previsti dal Piano nazionale della Cronicità. Gli studi dei medici di medicina generale devono diventare delle Case di comunità ‘Spoke’, dotate di adeguata strumentazione e delle figure professionali che affiancano il medico nell’assistenza ai pazienti”.

“La rete dei farmacisti è ormai parte integrante del processo di presa in carico del paziente sul territorio e, di conseguenza, il tema dell’aderenza alle terapie, anche per il trattamento dell’ipercolesterolemia, assume un valore fondamentale”, commenta Andrea Mandelli, presidente FOFI – Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani. L’aderenza terapeutica è un aspetto cruciale dal punto di vista clinico ma è anche un importante strumento di razionalizzazione della spesa sanitaria. Per questo, nell’ambito della ‘Farmacia dei servizi’, la promozione dell’aderenza può e dovrà avere un’importanza crescente. Il contributo del farmacista di comunità, in sinergia con gli altri professionisti del territorio, è essenziale per realizzare un’assistenza sanitaria di prossimità e incidere sugli outcome di salute dei pazienti”.

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