E’ un processo indispensabile per le cellule del nostro organismo, che “cannibalizzano” alcuni loro componenti, ovvero si nutrono di proteine e altro materiale inutilizzato: l’autofagia è un meccanismo essenziale ma poco noto, che da un lato permette l’approvvigionamento di energia per la cellula e dall’altro promuove l’eliminazione degli scarti potenzialmente dannosi.
L’autofagia non solo svolge un ruolo nel corretto funzionamento del sistema immunitario, è un processo indispensabile anche alla fisiologia delle cellule, così come un sistema essenziale per eliminare invasori esterni come virus o batteri intracellulari.
Il digiuno e l’autofagia, il parere dell’esperta
“Il processo di autofagia cellulare può essere immaginato come un autocannibalismo della cellula stessa. In carenza di nutrienti, come per esempio durante un digiuno, le cellule passano a uno stato di ‘stand-by’ per risparmiare energia,” spiega a MeteoWeb la dott.ssa Romina Inès Cervigni, biologa nutrizionista, Responsabile Scientifico della Fondazione Valter Longo Onlus. “Allo stesso tempo distruggono componenti non necessarie perché danneggiate, vecchie o non ben funzionanti (proteine, mitocondri, ecc.) così da ottenere energia nutrendosi dei propri componenti per brevi periodi di tempo in cui manchi il cibo“.
Il processo di autofagia “ha diversi ruoli che dipendono dall’organo a cui si fa riferimento, grasso, sangue, organi coinvolti nel sistema immunitario. Ad esempio, l’autofagia può svolgere un ruolo importante nell’eliminazione completa o parziale dei mitocondri durante i processi di maturazione delle cellule coinvolte. L’autofagia nelle cellule epiteliali del timo potrebbe essere coinvolta nella creazione dell’autotolleranza delle cellule T; in particolare, l’autofagia perfeziona la presentazione delle cellule epiteliali di auto-antigeni ai timociti, il che porta all’eliminazione di alcune popolazioni di cellule T autoreattive. Potrebbe quindi avere un ruolo nello scongiurare la comparsa di malattie autoimmuni,” sottolinea l’esperta.
Le maggiori criticità riguardo l’autofagia “riguardano l’ambito terapeutico e diagnostico,” prosegue la dott.ssa Cervigni. “Non sono infatti attualmente disponibili indicatori o biomarcatori efficaci per l’attività dell’autofagia, impedendo quindi la possibilità di monitoraggio di questo processo che dovrebbe sempre essere condotto con una guida medica. Tali marcatori sono importanti per determinare l’attività autofagica nel contesto della malattia, in particolare durante il monitoraggio dell’efficacia di un determinato farmaco o trattamento durante la terapia di modulazione dell’autofagia“.
Il processo di autofagia può essere condizionato da diversi fattori: “La composizione della dieta può influenzare l’invecchiamento e la longevità. Ad esempio, un eccessivo consumo di carboidrati amidacei e di proteine attivano le vie dell’insulina e del fattore di crescita insulino-simile-1 (IGF-1) nelle cellule, inibendo anche l’autofagia e aumentando la crescita cellulare e l’accumulo di energia“. Coerentemente con questa osservazione, secondo la nutrizionista “una dieta a basso indice glicemico e con un apporto non elevato di proteine (idealmente 0,8 g per kg di peso corporeo) può migliorare la sensibilità all’insulina e prolungare la durata della vita, anche quando la dieta viene iniziata in età avanzata“.
Il processo può essere favorito anche da “attività fisica, fitochimici (presenti in verdura, frutta e funghi) e il digiuno controllato“, “in quanto creano uno stress ‘positivo’ diminuendo la resistenza all’insulina e promuovendo l’ossidazione dei lipidi muscolari invece dell’uso del glicogeno“.
Il digiuno, nell’ambito di un regime alimentare sano e bilanciato, è un elemento chiave: “È noto che il digiuno stimoli il processo di autofagia e questo avviene perché la cellula ricicla ciò che ha a disposizione per produrre energia sotto forma di nuove proteine, molecole di glucosio e grassi,” afferma la dott.ssa Cervigni.
Una pratica da effettuare, però, senza eccessi: “Come consigliato dalla dieta della longevità, l’ideale è cercare di mantenere il digiuno notturno di 12 ore e praticare dei cicli di dieta mima digiuno di 5 giorni con una frequenza annuale che dipende dalle condizioni iniziali di ciascuna persona“.
La dieta mima digiuno, infatti, “rappresenta uno stress per la cellula che attiva alcuni processi cellulari e molecolari coinvolti nella risposta adattiva allo stress stesso. Tra questi processi troviamo proprio l’autofagia e la riduzione dei livelli di IGF-1 consentendo di migliorare la salute e contrastare i processi patologici,” conclude il Responsabile Scientifico della Fondazione Valter Longo Onlus.
Che cos’è la dieta della longevità?
La dieta della longevità è un tipo di alimentazione ideato dal Prof. Valter Longo e basato su 5 pilastri della longevità che ha l’obiettivo di prolungare la gioventù il più a lungo possibile, minimizzando le malattie. Si basa su un’alimentazione che unisce tradizione e scienza, ricca di cibi selezionati tra la grande varietà presente sulla tavola dei centenari e dei propri antenati.
A livello alimentare, la dieta della longevità prevede soprattutto alimenti di origine vegetale come i cereali, le verdure, i legumi, la frutta a guscio e altri prodotti locali, tra cui i limoni. Come alimenti di origine animale, si prevede esclusivamente il consumo di pesce per 3-4 pasti alla settimana, soprattutto azzurro e di piccole dimensioni, data la miglior qualità nutrizionale e la minor presenza di inquinanti e di metalli pesanti in particolare. La dieta della longevità comprende anche due tipi diversi di digiuno: quello notturno, di 12 ore, e la dieta mima digiuno periodica (un ciclo di 5 giorni ogni tre mesi).
Che cos’è la dieta mima digiuno?
La dieta mima digiuno è un protocollo alimentare ipocalorico interamente vegetale nato da un percorso più che ventennale di ricerche scientifiche, che migliora i livelli di molti fattori di rischio e di marcatori associati all’invecchiamento e alle malattie correlate all’avanzare dell’età. I primi studi scientifici su questo tipo di dieta sono stati condotti e sponsorizzati dal National Institute of Health, dal National Cancer Institute e dal National Institute on Aging negli Stati Uniti.
Il protocollo dura 5 giorni e prevede un apporto calorico di 1100 kcal il 1° giorno e indicativamente di 800 kcal dal 2° al 5° giorno. Questo programma dietetico è pensato per promuovere il naturale processo di rigenerazione e ringiovanimento biologico dell’organismo.
Chi è Romina Inès Cervigni, biologa nutrizionista
Romina Inès Cervigni, biologa nutrizionista, Responsabile Scientifico della Fondazione Valter Longo Onlus, ha al suo attivo un dottorato di ricerca alla Open University nel Regno Unito conseguito focalizzando i suoi studi in ambito oncologico, con un particolare focus nelle ricerche di biologia cellulare. Ha collaborato, inoltre, come ricercatrice post-dottorato con il Comitato Nazionale delle Ricerche (CNR) di Napoli e con l’Università VitaSalute San Raffaele di Milano, occupandosi di malattie neurodegenerative.
I suoi studi in Nutrizione e Dietetica, con un Master di secondo livello all’Università Politecnica delle Marche, le permettono di completare il suo percorso formativo integrando fra le sue competenze le terapie farmacologiche per diverse patologie attraverso una terapia alimentare. Collabora con la Fondazione Valter Longo Onlus fin dalla sua creazione e assiste quotidianamente pazienti con diverse patologie provenienti da tutto il mondo.
Cos’è la Fondazione Valter Longo Onlus
Offrire a tutti l’opportunità di una vita più lunga e sana. È questo il mantra che ha ispirato Valter Longo, scienziato e biogerontologo di fama internazionale, nella creazione della Fondazione Valter Longo Onlus, che opera per prevenire e curare gravi malattie e permettere a tutti, bambini e adulti, anche in povertà, di vivere sani e a lungo. La prima in Italia dedicata a favorire la longevità sana attraverso l’educazione alimentare nelle scuole ed il sostegno alle persone fragili e in difficoltà nella prevenzione e cura di gravi malattie.
Una Fondazione concentrata sulla creatività, ma anche sull’approccio multidisciplinare tipico dell’ambito universitario. Un approccio unico, che combina la biologia molecolare, la dietologia e la medicina per informare, assistere e curare sempre più persone, dall’infanzia agli anni d’argento, per accompagnarle verso una longevità sana – intendendo per longevità una vita di durata superiore alla media. In particolare, il lavoro della Fondazione si focalizza sulla ricerca del nesso tra nutrienti e geni della longevità per vivere in salute più a lungo e dar vita a quella che può essere definita una “longevità programmata”.
La missione della Fondazione è rallentare e combattere l’insorgenza di importanti patologie correlate all’avanzare dell’età o non trasmissibili – quali tumori, diabete, obesità, malattie cardiovascolari, autoimmuni, come il Morbo di Crohn e la sclerosi multipla, e patologie neurodegenerative come l’Alzheimer – promuovendo l’educazione alimentare e la crescente diffusione di uno stile di vita bilanciato e di abitudini alimentari salutari.
“Non tutti sono consapevoli che la nutrizione è uno dei più potenti farmaci naturali a nostra disposizione, sia in un’ottica preventiva che in un percorso di cura”, tiene a precisare Valter Longo. Ecco perché il lavoro della Fondazione Valter Longo Onlus si focalizza sulla ricerca del nesso tra nutrienti e geni della longevità per vivere in salute più a lungo. Una vera e propria strategia biologica evoluta per poter influire sulla longevità e sulla salute attraverso strategie di protezione e rigenerazione come la dieta e il digiuno.
Fondazione Valter Longo Onlus intende educare, formare e collaborare con un esercito di 10mila nutrizionisti per trasformarli in veri e propri ambasciatori della sana longevità e dare un contributo concreto alla salute di adulti e bambini.