Accordi di Parigi fondamentali per la biodiversità: lo studio

Il raggiungimento degli obiettivi definiti dall’accordo di Parigi sul clima favorirebbe in modo cruciale la sopravvivenza dei carnivori e degli ungulati di montagna
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La montagna rappresenta da sempre un luogo di grande diversità biologica. Pur occupando una minima parte della superficie terrestre, circa il 20%, è in grado di ospitare ben 1/3 della diversità delle specie del mondo e metà di tutti gli hotspot di biodiversità globali.

Gli ambienti montani hanno fornito un rifugio a numerose specie durante i cambiamenti climatici del passato e potrebbero offrirlo anche in futuro, soprattutto a quelle che vivono immediatamente ai margini delle catene montuose. Ma le specie endemiche, già a rischio di estinzione, richiedono comunque imminenti misure di conservazione.

Le misure per limitare il fenomeno del riscaldamento globale (a 1,5 °C e 2 °C rispetto ai livelli preindustriali), stabilite con l’accordo di Parigi del 2015 tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, potrebbero favorire anche la salvaguardia dei mammiferi delle aree montane.

È quanto emerge da un nuovo studio, condotto da Chiara Dragonetti e Valeria Y. Mendez e coordinato da Moreno Di Marco del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza. In particolare, i ricercatori hanno analizzato la situazione dei carnivori e degli ungulati di montagna nel 2050, proiettando al futuro le loro nicchie climatiche, cioè l’insieme delle condizioni climatiche che permettono la sopravvivenza di una determinata specie.

I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Conversation Biology, dimostrano che il rischio per la sopravvivenza dei carnivori e degli ungulati di montagna globalmente non è elevato, e che nessuna specie ha una probabilità di riduzione della propria nicchia climatica superiore al 50%. Il raggiungimento degli impegni dell’accordo di Parigi diminuirebbe però sostanzialmente l’instabilità climatica per le specie montane. Infatti, limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C comporterebbe una diminuzione della probabilità di contrazione di nicchia del 4% rispetto a uno scenario ad alte emissioni.

A livello globale i mammiferi di montagna potrebbero essere in media meno in pericolo rispetto ad altri mammiferi – spiega Chiara Dragonetti, prima autrice dello studio – ma ci sono importanti eccezioni da tenere in considerazione, come per tutte le specie altamente endemiche, che non potranno trovare climi adatti altrove”. 

Le montagne hanno fornito un rifugio a numerose specie durante i cambiamenti climatici del passato e potrebbero offrirlo anche in futuro, soprattutto a quelle specie che vivono immediatamente ai margini delle catene montuose. Ma le specie endemiche già a rischio  richiedono comunque imminenti misure di conservazione.

Per proteggere la biodiversità montana saranno quindi necessari – aggiunge Dragonetti – sia una forte politica di mitigazione del clima, sia rapidi interventi di conservazione che abbiano come target le specie già vulnerabili. Inoltre, azioni mirate per un uso più sostenibile del suolo dovrebbero far parte delle politiche internazionali per preservare le montagne tropicali, soprattutto in Africa, Sud-est asiatico e Sud America. Queste sono infatti le zone del mondo con la più alta biodiversità montana, ma anche quelle che affrontano le sfide più grandi in termini di sviluppo e crescita della popolazione”.

Gli obiettivi climatici definiti dall’accordo di Parigi – conclude Moreno Di Marco, coordinatore del laboratorio Biodiversity & Global Change della Sapienza – derivano da negoziazioni politiche che non sempre trovano riscontro scientifico per quanto riguarda i sistemi biologici. Con questo lavoro dimostriamo che non raggiungere l’accordo di Parigi comporta rischi seri per la biodiversità e per i delicati equilibri ecosistemici degli ambienti montani”.

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