L’annunciato traguardo USA di reazione a fusione nucleare “è un passo importante nella giusta direzione, in questo esperimento si arriva a produrre più energia di quanta se ne consuma e questo è sicuramente un fatto positivo negli sviluppi globali che ci permettono di avere forte motivazione per raggiungere i nostri target”. Lo ha detto all’ANSA Sergio Orlandi, direttore del Dipartimento di ingegneria e costruzioni del progetto Iter.
Interpellato sulla possibilità di accelerare Iter, l’imponente progetto internazionale per realizzare un reattore sperimentale a fusione nucleare a Cadarache, nel sud della Francia, Orlandi ha affermato: “è chiaro che un aumento del capitale potrebbe accelerare questi programmi. Quello che stiamo affrontando non è un problema scientifico, è un problema tecnologico“. Nel progetto Iter, ricorda, sono già stati stanziati fondi per il 65-70% dei 22 miliardi impegnati, e con gli investimenti effettuati sono già stati spesi il 30-35% dei fondi. “Stiamo cercando di completare questa parte di impianto in 3 anni – ha aggiunto Orlandi -. Avendo più capitale ogni attività può accelerare e risolvere problemi tecnologici in essere. D’altro canto dovremmo trovare una soluzione vincente a basso costo”.
“Iter è basata su attività di ricerca spinta, non sono in competizione ma in collaborazione. Mai mettere in competizione due tecnologie, sono due macchine completamente diverse“, ha poi aggiunto rispondendo ad una domanda sul fatto che negli USA si lavora alla fusione a confinamento inerziale, rispetto a Iter che punta sul confinamento magnetico. “Noi stiamo lavorando per raggiungere 500 megawatt termici con un fattore di amplificazione uguale a dieci, quanto è riportato oggi dovrebbero portare a un fattore di confinamento 1 o sopra, non è più sotto 1. E’ un passo positivo, dà motivazione e sicuramente ci incoraggia. Iter ha incontrato qualche problema non per problemi scientifici, ma tecnologici“, ha spiegato anche rispetto ai tempi del progetto, ricordando i tre anni complessi tra Covid e conseguenze della guerra in Ucraina. “Probabilmente riusciamo a contenere la risoluzione di questi problemi tecnologici in un arco di tempo gestibile, si può parlare fra i 18 e i 24 mesi. Questo ci dovrebbe portare ad avere un primo plasma un pochino in ritardo ma per il 2035-2036”, ha concluso.