Il test genomico Oncotype permette sempre più di personalizzare le cure per il tumore del seno in fase iniziale. E’ in grado di identificare oltre 80% delle donne con malattia linfonodale negativa che non può ricevere un beneficio sostanziale dalla chemioterapia. Permette inoltre di individuare la minoranza di pazienti a cui la chemioterapia può invece salvare la vita. E’ quanto ha evidenziato l’aggiornamento di TAILORx, il più ampio studio adiuvante randomizzato sul carcinoma mammario mai realizzato. I risultati sono stati illustrati nei giorni scorsi negli USA al San Antonio Breast Cancer Symposium, il più importante meeting mondiale sul carcinoma mammario. Oggi vengono presentati in Italia con una conferenza stampa on line. La nuova valutazione a 12 anni conferma i risultati emersi della prima analisi. La terapia endocrina non è inferiore alla chemioterapia più terapia endocrina nelle pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale positivo al recettore ormonale (HR), HER2-negativo e linfonodo negativo (punteggio di Recurrence Score compreso tra 11 e 25). Come nell’analisi originale, il sottogruppo di donne di età pari o inferiore a 50 anni (con risultati di Recurrence Score tra 16 e 25) ottiene dalla chemioterapia un beneficio che dura fino a 12 anni. Per quelle con risultati di Recurrence Score tra 0 e 25 gli eventi di recidiva tardiva, oltre i cinque anni, hanno superato le recidive precoci. Tuttavia, il rischio di recidiva a distanza a 12 anni resta sotto il 10%, una percentuale che indica un rischio basso.
“Questo follow-up allungato a 12 anni conferma gli ottimi risultati già riscontrati nel primo studio – afferma Giuseppe Curigliano, Professore di Oncologia Medica all’Università di Milano e Direttore Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. Attualmente Oncotype DX è riconosciuto come standard di cura ed il suo utilizzo è incluso in tutte le più importanti linee guida internazionali sul tumore del seno. Il test esamina l’espressione di 21 geni selezionati su un campione di tessuto neoplastico. Tramite la valutazione possiamo di stabilire quale sia la probabilità di recidiva della malattia e la risposta alla chemioterapia. Quest’ultima è un trattamento ancora molto temuto dalla maggioranza delle pazienti e si sta rafforzando il ruolo dei test genomici nel limitarne il ricorso. Somministrare la sola terapia endocrina, dopo un primo intervento chirurgico, presenta degli indubbi vantaggi clinici”.
Infatti, sempre a San Antonio, è stata presentata anche un’analisi di un sottogruppo di pazienti partecipanti allo studio RxPONDER. Le donne, che hanno utilizzato il test genomico, erano colpite da tumore del seno con linfonodi positivi e sensibili al sistema endocrino. Un’indagine ha dimostrato come il deterioramento cognitivo, collegato al cancro, è stato maggiore con la chemioterapia rispetto alla sola terapia endocrina. Oltre ai noti effetti collaterali della chemioterapia, tra i quali alcuni particolarmente spiacevoli come l’alopecia sia pure temporanea e la menopausa con conseguente infertilità nelle donne più giovani, ora se ne aggiunge un altro: il deterioramento cognitivo. “Si tratta di un effetto collaterale abbastanza diffuso ma meno noto rispetto, per esempio, alla caduta dei capelli – sottolinea il prof. Francesco Cognetti, Presidente della Confederazione Oncologi, Cardiologi, Ematologi (FOCE) e professore di Oncologia all’Università UniCamillus di Roma -. Si calcola che possa interessare fino al 60% delle donne in trattamento chemioterapico per un tumore della mammella. I deficit cognitivi sono un problema da non sottovalutare perché possono peggiorare, in modo significativo, la qualità di vita. Garantire il benessere psico-fisico di un malato, durante e dopo i trattamenti anti-cancro, è una delle priorità dell’oncologia moderna. Al tempo stesso bisogna riuscire a individualizzare i trattamenti attraverso tutti gli strumenti a nostra disposizione. La nuova analisi, condotta su RxPONDER, è un ulteriore e preziosa dimostrazione di come questi esami possano evitare terapie inutili o addirittura controproducenti, terapie che in queste pazienti con linfonodi ascellari positivi possono prevedere anche un’intensificazione dei tempi di somministrazione dei farmaci citotossici con conseguente maggiore anemia nelle pazienti trattate con questi regimi “dose dense”.
“Il nostro Paese è arrivato in ritardo all’utilizzo dei test genomici per il tumore del seno – sottolineano i proff Curigliano e Cognetti -. Dopo un lungo iter politico-burocratico-amministrativo sono da diversi mesi disponibili gratuitamente per tutte le pazienti nell’intera la Penisola. Tuttavia registriamo ancora uno scarso uso da parte del personale medico-sanitario. Al momento stiamo utilizzando solo il 50% dei test rimborsati e quindi disponibili per clinici e pazienti. Le continue evidenze scientifiche prodotte stanno dimostrando in modo inequivocabile le grandi potenzialità che possiedono. Infatti nelle neoplasie mammarie luminali a rischio “intermedio” persiste una forte incertezza terapeutica e non sempre la chemioterapia è necessaria. Spetta al team multidisciplinare, che ha in cura la donna, valutare il ricorso ad un esame genomico che non può essere sempre prescritto. In Italia sono oltre 10mila donne potrebbero beneficiare dei vantaggi offerti e rappresentano circa un quinto di tutti i nuovi casi di carcinoma mammario”.