La Cina dimostra che la lotta per il “clima” non riguarda realmente il clima

Clima: mentre l'Occidente si impegna con irrealizzabili e dannosi obiettivi di riduzione delle emissioni, la Cina trae grandi benefici
MeteoWeb

Mentre il mondo occidentale continua ad impegnarsi per ottenere una riduzione delle emissioni di anidride carbonica per combattere i cambiamenti climatici, la Cina sta seguendo il percorso opposto, offrendo un chiaro esempio del fatto che l’obiettivo “emissioni zero” è del tutto irrealizzabile per il mondo. Ma non solo.

L’Accordo di Parigi, raggiunto nel 2015, invita i governi nazionali a prendere i propri impegni per combattere la “crisi climatica”. In base all’accordo, l’amministrazione Obama si è impegnata unilateralmente a ridurre le emissioni di CO2 negli Stati Uniti di oltre il 25% entro il 2025. Altri governi occidentali hanno fatto promesse simili. 

Il regime comunista cinese, al contrario, emetteva già molta più CO2 degli Stati Uniti e ora ne emette di gran lunga più dell’intero mondo occidentale messo insieme. Lo riporta il giornalista Alex Newman in un articolo per The Epoch Times. Eppure, la Cina si è impegnata solo ad aumentare le proprie emissioni per i prossimi 15 anni. Nella sua proposta alle Nazioni Unite, il Partito Comunista Cinese (PCC) ha concordato di “raggiungere il picco delle emissioni di anidride carbonica intorno al 2030“. In altre parole, il regime ha annunciato che la sua produzione di CO2 avrebbe continuato a crescere per almeno 15 anni. 

Attualmente, la Cina sta rendendo attive più centrali elettriche a carbone da qui al 2025 di quante ne abbiano gli Stati Uniti in totale, evidenzia Newman. Secondo i dati comunicati dal Global Energy Monitor a febbraio 2021, il PCC ha costruito più di tre volte la capacità di energia a carbone del resto del mondo messo insieme nel 2020. E ha già circa la metà di tutta la capacità di energia a carbone del mondo, secondo Global Energy Monitor.  

La Cina emette già più del doppio di CO2 rispetto agli Stati Uniti, secondo i dati del Global Carbon Project. Le sue emissioni stanno aumentando vertiginosamente, mentre le emissioni degli Stati Uniti e di altre nazioni occidentali continuano a precipitare. Nel 2021, gli americani hanno rilasciato circa 5 miliardi di tonnellate di CO2, mentre la Cina ne ha rilasciati circa 11,5 miliardi. Se le tendenze attuali continueranno, il PCC potrebbe rilasciare più CO2 del resto del mondo messo insieme in un futuro non troppo lontano, si legge nell’articolo di The Epoch Times. 

Tutta la produzione spostata fuori dall’Occidente e in Cina comporterà l’immissione di molta più CO2 nell’atmosfera che se quella produzione fosse rimasta negli Stati Uniti, in Canada o in Europa”, scrive Newman, evidenziando che in Cina “le emissioni di CO2 per unità di produzione economica sono enormemente più alte”. “Eppure, i governi occidentali, gli attivisti per il clima, i leader delle Nazioni Unite e i loro alleati dei media hanno celebrato e continuano a celebrare l’Accordo di Parigi e i successivi follow-up come un enorme successo nel salvare il clima”, aggiunge il giornalista. 

Il passaggio alla cosiddetta “energia rinnovabile” progettata dall’amministrazione Biden e dai responsabili politici federali è stato e continuerà ad essere un enorme vantaggio anche per il PCC, e non solo perché costringerà i prezzi ad aumentare mentre rende la rete energetica degli Stati Uniti più instabile. Quasi l’80% delle celle solari prodotte nel 2019 sono state prodotte in Cina, secondo i dati di Bloomberg. Il PCC domina anche la produzione nel settore eolico e nell’industria delle batterie. Controlla anche la catena di approvvigionamento dei materiali delle terre rare necessari per produrre tutti questi prodotti di “energia verde“”, si legge nell’articolo di Newman.  

Chi trae benefici? 

Chi beneficia di tutto questo? Certamente non il “clima”. Ancora una volta, spostare l’industria statunitense in Cina comporterà più CO2 nell’atmosfera, non meno. Il grande vincitore, ovviamente, è stato il PCC, che assorbe le fabbriche, i posti di lavoro e la produzione di ricchezza che gli Stati Uniti e altre autorità occidentali stanno chiudendo per “salvare il clima””, scrive Newman. 

Nel suo articolo, il giornalista riporta le dichiarazioni di alcuni alti funzionari delle Nazioni Unite, tra cui quelle di Christiana Figueres, che è stata segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tra il 2010 e il 2016. Nel 2015, Figueres ha suggerito che l’obiettivo della politica “climatica” fosse in realtà la trasformazione economica. “Questa è la prima volta nella storia dell’umanità che ci poniamo il compito di cambiare intenzionalmente, entro un periodo di tempo definito, il modello di sviluppo economico che regna da almeno 150 anni, dalla Rivoluzione Industriale”, ha detto il 4 febbraio 2015. 

Cinque anni prima di questi commenti, uno dei massimi funzionari del Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (IPCC), Ottmar Edenhofer, ha rivelato un’agenda simile nei commenti a NZZ Online. “Bisogna dire chiaramente che ridistribuiamo de facto la ricchezza mondiale attraverso la politica climatica”, ha affermato. “Bisogna liberarsi dall’illusione che la politica climatica internazionale sia una politica ambientale. Questo non ha quasi più nulla a che fare con la politica ambientale”.  

Redistribuzione della ricchezza? Cambiare il modello economico del mondo? E qui agli americani viene detto che si tratta di “salvare il clima””, conclude Newman. 

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