Telescopio Webb, le galassie più antiche fanno riscrivere l’infanzia dell’universo

Le osservazioni del rivoluzionario telescopio spaziale James Webb hanno permesso di svelare che le galassie più antiche osservate avevano tante forme diverse
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Le galassie più antiche immortalate dal telescopio spaziale James Webb costringono a ripensare le teorie sull’infanzia dell’universo: contrariamente a quanto si riteneva, già fra 11 e 13 miliardi di anni fa, le galassie si erano già evolute e avevano assunto forme diverse. Lo indica lo studio in via di pubblicazione su The Astrophysical Journal e disponibile sulla piattaforma ArXiv, che accoglie lavori non ancora sottoposti al vaglio della comunità scientifica. La ricerca si deve al gruppo di ricerca internazionale del Cosmic Evolution Early Release Science (Ceers) Survey, al quale l’Italia partecipa con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e l’Università di Padova.  

Puntare lo sguardo verso gli oggetti più lontani nel cielo equivale a una sorta di viaggio nel tempo, tanto che gli oggetti più lontani sono quelli che per primi si formarono nelle prime fasi dell’universo, dopo il cosiddetto Big Bang, circa 14 miliardi di anni fa. I moderni telescopi hanno per la prima volta permesso di spingere lo sguardo fino quasi ai confini più estremi, ma solo ora grazie al potentissimo telescopio spaziale Webb è possibile riuscire a cogliere quegli oggetti con una definizione tale da poterne vedere alcuni dettagli. 

Usando le immagini scattate dal Webb in questi primi 6 mesi di operatività, i ricercatori del Ceers sono riusciti a studiare alcune delle galassie più distanti e antiche, tra circa 11 e 13 miliardi di anni scoprendo una gran varietà di strutture e forme. Finora si riteneva invece che in quella prima fase dell’universo le galassie non avessero avuto ancora il tempo necessario ad evolvere da semplici dischi o sfere in strutture complesse come le più classiche spirali. “Questo ci dice che non sappiamo ancora quando si sono formate le prime strutture galattiche”, ha detto Jeyhan Kartaltepe, dell’Istituto di Tecnologia di Rochester, negli Stati Uniti, e primo autore dello studio. Secondo gli autori ciò vuol dire che per arrivare a scorgere le primissime galassie, che si ipotizza avessero una semplice struttura a disco, servirà spingere lo sguardo ancora più in profondità, più a ridosso del Big Bang.  

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