Importantissime nella difesa naturale da virus e batteri, Covid compreso, cruciali per diagnosi e cura di malattie, in futuro saranno sempre più usate per trattamenti personalizzati e predire la prognosi del singolo paziente: sono le molecole dell’immunità innata – prima linea di difesa dell’organismo – un ampio arsenale finora ritenuto di poco conto. A fare il punto sugli ‘anticorpi primitivi’ sono gli scienziati dell’Humanitas di Milano, con una revisione pubblicata sul New England Journal of Medicine.
Gli anticorpi primitivi
Gli anticorpi primitivi, spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico Humanitas, operano fuori dalle cellule immunitarie, muovendosi nel corpo attraverso il sangue. Si trovano normalmente nei tessuti, svolgendo la loro attività di sorveglianza passiva in attesa che si manifesti una situazione di emergenza, come la presenza di un patogeno o di un danno ai tessuti.
Quando ciò avviene, una cascata di messaggi chimici e cellulari permettono al segnale d’allarme di propagarsi a tutto l’organismo, attivando un vero e proprio stato di allerta globale. Gli anticorpi primitivi, ribadisce Mantovani, hanno un ruolo fondamentale in questa risposta e agiscono insieme alle cellule dell’immunità innata (macrofagi, neutrofili, cellule natural killer, ecc.).
Potenziale terapeutico enorme
“A lungo sottovalutate – sottolinea Mantovani – le molecole solubili dell’immunità innata sono invece fondamentali: attivano alcune azioni di difesa, fissandosi ai microbi o alle cellule malate segnalandoli alle cellule dell’immunità o eliminandoli direttamente; producono cambiamenti metabolici e ormonali che ostacolano l’azione dei patogeni (come la riduzione del ferro nel sangue, fondamentale per patogeni); regolano lo stato di infiammazione e il processo di coagulazione e di rigenerazione dei tessuti una volta neutralizzata l’infezione”.
“Hanno un potenziale terapeutico enorme“, ribadisce Cecilia Garlanda dell’Humanitas, che ha scoperto come una di queste molecole possa proprio bloccare il virus: “sono uno strumento di diagnosi clinica ormai consolidato: il loro livello nel sangue, come dimostrato anche in era Covid, permette di misurare lo stato infiammatorio e ha grande valore sia diagnostico sia prognostico per molte malattie infettive, infiammatorie o autoimmuni. Possono inoltre essere usati come marcatori prognostici di precisione, e saranno sempre più usati come target terapeutici” conclude.