La misteriosa arte della mummificazione egizia ha sempre meno segreti. Esattamente 100 anni fa gli archeologi scoprivano la tomba di Tutankhamon. La mummia del faraone egizio divenne famosa in tutto il mondo, dando lo spunto per storie, libri e film che hanno segnato un’epoca. Da allora, i ricercatori hanno imparato molto su come gli antichi egizi preparavano i corpi per la mummificazione. Fino ad ora, tuttavia, si sapeva troppo poco su come alla fine rendessero immortali i corpi dei defunti imbalsamandoli.
Il processo di mummificazione nell’antico Egitto era lungo, complesso e comportava l’uso di molte sostanze per l’imbalsamazione. La nostra conoscenza attuale dei materiali per l’imbalsamazione deriva principalmente dalla letteratura antica e dalle analisi dei residui organici delle mummie egizie.
Maxime Rageot, Philipp Stockhammer e colleghi hanno analizzato 31 vasi in ceramica recuperati da un laboratorio di imbalsamazione a Saqqara. Il laboratorio risale alla 26a dinastia egizia (664-525 a.C.). Questi vasi sono incisi con testi che forniscono istruzioni per l’imbalsamazione (come “mettersi sulla testa” o “bendarlo/imbalsamarlo“) e/o nomi delle sostanze per l’imbalsamazione. I recipienti contengono anche residui di sostanze utilizate.
La ricerca sulla mummificazione
Il team di ricercatori tedesco-egiziano ha scoperto delle vere e proprie ricette chimiche di tecniche di imbalsamazione. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature. In collaborazione con il Centro nazionale di ricerca del Cairo, l’equipe della LMU di Monaco e dell’Università di Tubinga ha analizzato i residui chimici nei recipienti di un laboratorio di imbalsamazione a Saqqara – non lontano dalla piramide di Unas – scoperto solo nel 2016. “Siamo stati in grado di eseguire noi stessi tutte le analisi scientifiche in Egitto”, spiega l’archeologo Philipp Stockhammer.
“Per questo dobbiamo ringraziare Ramadan Hussein, che ha scoperto e guidato gli scavi per i progetti DFG Saqqara Saite Tombs, e che purtroppo è morto improvvisamente in primavera“. Lo ha sottolineato Maxime Rageot, dell’Università di Tubinga.
Il laboratorio della mummificazione

Credit: Nikola Nevenov
Nel laboratorio appena scoperto, gli esperti mummificavano i morti nel VII e VI secolo a.C. Per gli egittologi, riuscire a recuperare numerosi vasi usati tanto tempo fa da abili artigiani è stato un enorme colpo di fortuna. Gli egizi etichettavano i recipienti con il loro contenuto e alcuni avevano persino le istruzioni per l’uso. “Conosciamo i nomi di molti di questi ingredienti per l’imbalsamazione da quando sono stati decifrati gli antichi scritti egizi“. Lo ha sottolineato Susanne Beck dell’Università di Tubinga, che sta conducendo lo scavo. “Ma fino ad ora, potevamo solo indovinare quali sostanze ci fossero dietro ogni nome”.
Sostanze specifiche per alcune parti del corpo

Credit: Saqqara Saite Tombs Project, Università di Tubinga, Tubinga, Germania. Fotografo: M. Abdelghaffar
L’analisi del residuo chimico nei vasi ha permesso di isolare e identificare i resti molecolari delle sostanze utilizzate nei singoli vasi. Man mano che gli archeologi svelavano il mistero, si trovavano di fronte ad una serie di sorprese. Rageot ne rivela uno: “La sostanza etichettata dagli antichi egizi come antiu è stata a lungo tradotta come mirra o incenso. Ma ora siamo stati in grado di dimostrare che si tratta in realtà di una miscela di ingredienti molto diversi che siamo stati in grado di separare con l’aiuto della gascromatografia/spettrometria di massa”. L’antiu usato a Saqqara era una miscela di olio di cedro, olio di ginepro o cipresso e grassi animali.
Queste intuizioni facilitano una rilettura di testi sull’antica imbalsamazione egizia. Il confronto delle sostanze identificate con le etichette sui recipienti ha permesso al team di ricercatori di determinare quali sostanze sono state utilizzate per imbalsamare determinate parti del corpo. La resina di pistacchio e l’olio di ricino, ad esempio, sono stati utilizzati solo per la testa. “Ciò che ci ha davvero sorpreso è stato che la maggior parte delle sostanze utilizzate per l’imbalsamazione non provenivano dall’Egitto stesso. Alcuni di loro sono stati importati dalla regione del Mediterraneo e persino dall’Africa tropicale e dal sud-est asiatico“. E’ quanto rivelato dall’archeologo della LMU Philipp Stockhammer, che ha finanziato la ricerca con il suo ERC Starting Grant.
Gli scambi commerciali

Credit: Saqqara Saite Tombs Project, Università di Tubinga, Tubinga, Germania. Fotografo: S.Beck
Oltre alla resina di pistacchio, all’olio di cedro e al bitume, tutti probabilmente provenienti dal Levante, i ricercatori hanno trovato anche residui di gomma damar e resina di elemi. Queste due sostanze in particolare mostrano come i rapporti commerciali fossero globalizzati già quasi 3.000 anni fa. La resina dell’albero di elemi è arrivata in Egitto dall’Africa tropicale o dal sud-est asiatico. L’albero di damar, invece, cresce ancora oggi solo nel sud-est asiatico tropicale.
E’ evidente come gli egizi compiessero sforzi enormi per reperire sostanze chimiche molto specifiche per il processo di imbalsamazione. “In definitiva, la mummificazione egiziana ha probabilmente svolto un ruolo importante nella prima nascita delle reti globali“, afferma Rageot. “Erano necessarie grandi quantità di queste resine esotiche“. “Grazie a tutte le iscrizioni sui vasi, in futuro saremo in grado di decifrare ulteriormente il vocabolario dell’antica chimica egiziana che fino ad oggi non comprendevamo a sufficienza”, precisa Stockhamme.