L’adattamento è uno delle principali strategie ambientali per fronteggiare il cambiamento climatico. Difatti ogni tecnica di adattamento permette di controllare, moderare o evitare i danni che ne conseguono. Tuttavia, vi è ancora una certa incertezza sul suo ruolo nelle pratiche ambientali e sulla sua efficacia nel limitare i danni del riscaldamento globale su persone, società ed economie.
Un nuovo studio di CMCC@Ca’Foscari, partnership strategica tra la Fondazione CMCC e l’Università Ca’ Foscari Venezia, pubblicato su Mitigation and Adaptation Strategies for Global Change, mostra come un mercato globale libero, nel quale forza lavoro e capitale possano riposizionarsi in diverse regioni, potrebbe costituire un’utile opzione per l’adattamento delle economie globali ai cambiamenti climatici.
I cambiamenti climatici
Questa deduzione trova valenza scientifica nelle simulazioni basate su un modello di Equilibrio Economico Generale sviluppato dal CMCC. La ricerca parte da un modello e un database del consorzio GTAP. Questo modello prende in esame diversi scenari socio-economici, caratterizzati da diverse forme di apertura all’economia internazionale e di mobilità internazionale del lavoro e del capitale, e analizza come questi scenari si evolvano in conseguenza di alcuni impatti dei cambiamenti climatici.
L’impatto di questi nuovi equilibri incide fortemente sul rendimento dell’agricoltura, dell’innalzamento del livello del mare e l’impatto sulla produttività del lavoro. Le simulazioni mostrano che un mercato globale, in cui sia il lavoro che il capitale possono ricollocarsi liberamente in diverse aree del mondo, può contribuire a ridurre i danni causati dai cambiamenti climatici attraverso alcuni meccanismi di adattamento autonomo (o market-driven).
L’aumento delle temperature globali
I cambiamenti climatici non gravano su tutte le aree del globo con la stessa intensità e in modo uniforme. Le regioni tropicali e subtropicali, e le regioni del Sud del mondo in generale, sono quelle più colpite dai cambiamenti climatici. Questo comporta, ad esempio, che le regioni del Nord possano produrre beni a un prezzo inferiore, e sono quindi richieste a livello globale. A una maggiore domanda di beni segue quindi un maggiore fabbisogno di lavoro e un maggiore flusso di capitali.
Questi meccanismi del mercato consentono quindi agli agenti economici, come ad esempio i lavoratori, di spostarsi autonomamente nelle regioni meno colpite dai cambiamenti climatici, ovvero le regioni del Nord del mondo. I risultati dello studio mostrano chiaramente che ciò potrebbe efficacemente contribuire a una sostanziale riduzione dei danni a livello mondiale, fino al 70% rispetto a uno scenario di impatto climatico intermedio. In questo scenario, l’aumento della temperatura globale alla fine del secolo è vicino ai 3°C rispetto ai livelli pre-industriali.
Gli strumenti di adattamento
“Questo meccanismo autonomo permette una riduzione sostanziale del danno complessivo a livello mondiale”, afferma Gabriele Standardi della Fondazione CMCC e dell’Università Ca’ Foscari Venezia, autore del paper. “In un mercato globale con libertà di movimento per lavoro e capitale, più lavoro e capitale saranno utilizzati nelle aree più produttive e meno lavoro e capitale in quelle meno produttive. Questo però crea anche una polarizzazione tra regioni produttive e non produttive, cioè un’amplificazione delle disuguaglianze economiche tra il Nord, dove si concentrano le attività economiche, e il Sud del mondo, che resta indietro, con meno attività economiche, meno lavoro e meno capitale”.
Le implicazioni più rilevanti di questi risultati esercitano un peso notevole anche nella sfera politica. Un mercato globale libero si rivela un valido strumento di adattamento a un nuovo clima, ma allo stesso tempo sono sempre necessarie adeguate politiche di sviluppo per ridurre le disparità tra Nord e Sud.
Le politiche di sviluppo per i cambiamenti climatici
“Bisogna anche sottolineare che l’adattamento guidato dal mercato non può in alcun modo sostituire le politiche di mitigazione e le altre politiche di sviluppo necessarie nelle aree più vulnerabili del pianeta”, aggiunge Standardi. “Tuttavia, la promozione di un solido quadro legale per la mobilità internazionale dei fattori di produzione, con particolare riferimento al lavoro, dovrebbe essere tenuta in considerazione nell’ambito dei negoziati sui cambiamenti climatici, come utile forma di adattamento“.