Le donne che soffrono di condizioni di salute mentale sembrano associate a un rischio due volte piu’ elevato di sviluppare cancro alla cervice. Questo allarmante risultato emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista The Lancet Public Health, condotto dagli scienziati del Karolinska Institutet. Il team, guidato da Kejia Hu, ha evidenziato l’importanza di un approccio proattivo come misura preventiva, per limitare il rischio di insorgenza del cancro alla cervice.
Le donne con malattie mentali, disabilita’ neuropsichiatriche o che fanno uso di sostanze stupefacenti, riportano gli esperti, tendono a essere meno propense a sottoporsi a test e screening. Hanno oltre il doppio delle probabilita’ di sviluppare la malattia rispetto alle pazienti in condizioni di salute mentale normali. Nel maggio 2020, l’Organizzazione mondiale della sanita’ ha approvato una strategia globale per affrontare il cancro cervicale come problema di salute.
Cancro alla cervice, i dati
Questo approccio prevede che il 70 per cento delle donne venga sottoposto a indagini almeno una volta prima dei 35 anni e due volte prima dei 45. Uno dei principali ostacoli per il raggiungimento di questo obiettivo, secondo gli autori, riguarda la disuguaglianza nell’accesso alle cure.
Per valutare il rischio di insorgenza della malattia, i ricercatori hanno condotto uno studio osservazionale, considerando i dati relativi a oltre quattro milioni di donne nate tra il 1940 e il 1995. Gli esperti hanno estrapolato le informazioni sul tasso di prevalenza del cancro alla cervice e la partecipazione ai programmi di screening. Distinguendo tra le pazienti che avevano mostrato segni di malattie mentali, disabilita’ neuropsichiatriche o abuso di sostanze.
Popolazione a rischio
“Il nostro lavoro – osserva Hu – ha identificato un sottogruppo di popolazione a maggior rischio che deve essere monitorato con piu’ attenzione. Le persone con malattie mentali sono correlate al doppio del rischio di sviluppare tumore alla cervice”. L’associazione piu’ elevata rilevata tra le pazienti che facevano uso di sostanze.
“Se gli operatori sanitari acquisissero una consapevolezza maggiore su queste statistiche – commenta Karin Sundstrom, del Karolinska Institutet – potrebbero intensificare le misure preventive, concentrando gli sforzi di sensibilizzazione tra le persone con questi disturbi”.