Etna: 40 anni fa lo storico tentativo di deviazione della colata lavica

Nel 1983 il primo tentativo in epoca moderna di deviare una colata lavica utilizzando in loco esplosivi e opere di contenimento in terra
MeteoWeb

Oggi, 28 marzo 2023, ricorre il 40° anniversario di “un evento che per vari motivi è entrato a far parte della storia della vulcanologia moderna. Si tratta dell’eruzione laterale dell’Etna del 1983, durata poco più di quattro mesi, che interessò il versante meridionale del vulcano“: a ricordarlo, sul blog INGVvulcani, sono il vulcanologo Salvatore Giammanco e Salvatore Caffo, Dirigente Vulcanologo dell’Ente Parco dell’Etna. L’eruzione “balzò all’attenzione dei media non soltanto per gli ingenti danni che causò (alcuni ristoranti, infrastrutture turistiche, alcune decine di case e vari appezzamenti di terreno coltivato furono distrutti e ricoperti dalle colate laviche), ma anche, e forse soprattutto, perché segnò il primo tentativo in epoca moderna di deviare una colata lavica utilizzando in loco esplosivi e opere di contenimento in terra. Questo evento, infatti, ebbe grande risonanza mediatica, tanto da meritare una lunga diretta della RAI nella notte tra il 13 e il 14 maggio 1983“.

L’evento eruttivo “fu seguito non soltanto dalle autorità competenti in materia di gestione del territorio e protezione civile, ma anche da molti studiosi, da qualche giovane studente in geologia e anche da alcuni appassionati di vulcani (pochi, perché fu imposto il divieto di accesso al teatro eruttivo)“. Tra gli studenti vi era proprio Caffo, che all’epoca seguì lo sviluppo dell’eruzione fin dai primi giorni per ricavare dati che avrebbe successivamente utilizzato per la propria tesina di laurea.

Di seguito il resoconto della cronologia eruttiva dell’Etna tratto dalle osservazioni di Caffo.

Tra il 27 e il 28 marzo 1983, una frattura eruttiva estesa per 2 km si aprì nel fianco meridionale del vulcano da quota 2900 a quota 2350 m s.l.m. L’eruzione fu preceduta da una crisi sismica iniziata alle ore 00.00 del 27 marzo e durata circa 30 ore, con oltre 250 eventi registrati da almeno 3 stazioni della rete sismica dell’Etna.

Dall’estremità sud della fenditura sgorgò una colata che sin dal primo giorno arrecò gravi danni alla Funivia dell’Etna, travolgendo otto piloni nonché le sue stazioni di partenza e di arrivo. La lava, quindi, distrusse il Rifugio Casa Cantoniera e sfiorò il ristorante Corsaro. Una digitazione della colata mise in pericolo il Rifugio Sapienza (posto a 2000 m s.l.m., punto di arrivo delle strade che salgono lungo il versante meridionale dell’Etna da Nicolosi e da Zafferana Etnea), giungendovi quasi a ridosso. Contemporaneamente lungo la frattura si era impostata una serie di hornitos che emettevano gas incandescenti ad altissima pressione, tanto da produrre un sibilo continuo, simile a quello di un reattore di jet.

Il giorno 1 aprile la lava investì il ristorante Corsaro precedentemente risparmiato. Nei giorni successivi però questa struttura venne divelta dalle fondamenta e trasportata sul dorso della colata per un lungo tratto prima di sparire tra le lave.

Il giorno 8 aprile una nuova ondata di lava si addossò al Rifugio Sapienza determinando la distruzione di alcune sue parti, mentre un braccio lavico invase il vivaio forestale di Monte Vetore, a circa 1700 m s.l.m.

Il 9aprile: una gran massa di lava investì a più riprese il Rifugio Sapienza e la funivia. Queste strutture però resistettero alla pressione della lava e non vennero distrutte, mentre altre strutture più piccole venivano travolte.

Il 12 aprile un braccio della colata si espanse più profondamente all’interno del vivaio della Forestale sotto Monte Vetore. Il grande fabbricato “Don Bosco” e la caserma della Forestale vennero invece distrutte completamente.

Il 16 aprile la lava proseguì la sua discesa demolendo la vecchia masseria “Casa del Bosco”, punto di riferimento per chi saliva sull’Etna. Furono distrutti diversi villini e tra il 18 e il 19 aprile il flusso principale investì il ristorante “La Quercia”, a Piano Bottara (circa 1300 m s.l.m.)“.

L’intervento di deviazione della colata lavica

Gli eventi eruttivi “fecero aumentare la preoccupazione delle popolazioni di Nicolosi, Belpasso e Ragalna, che cominciarono a chiedere a gran voce un intervento per cercare di “arrestare” il flusso lavico. Il flusso si concentrò in direzione di Monte Parmintelli e interruppe la strada Adrano-San Leo, arrivando a meno di 3 km dal paese di Ragalna,” ricordano Giammanco e Caffo. Il 28 aprile, “dopo diversi giorni di insistenze ed indecisioni, la Commissione Grandi Rischi approvò un piano di intervento che consisteva principalmente nel tentativo di deviare la colata e di costruire dei setti di contenimento“.

Il tentativo di deviazione, “ingegneristicamente molto complesso e rischioso, consisteva nell’aprire una breccia nell’argine naturale della colata, a monte dell’ingrottamento lavico maggiore (circa a 2180 m s.l.m.), a mezzo di cariche esplosive. In tal modo si faceva “ricominciare” il cammino della colata molto più a monte, quasi all’altezza della bocca eruttiva originaria. L’operazione venne fissata per il 14 maggio e a compiere tale lavoro vennero chiamati l’ing. Lennart Abersten, ingegnere minerario svedese, e il prof. Amedeo Sbacchi, Ordinario di Strade alla Facoltà di Ingegneria di Catania. Si mise in opera un vero e proprio cantiere, mobilitando decine di persone coordinate dal personale della allora Provincia Regionale di Catania“.

L’esito della deviazione “è ancora oggi controverso, anche se sul momento suscitò grande entusiasmo ed ebbe risonanza a livello sia nazionale sia internazionale. Fu aperta una breccia sul fianco del canale lavico principale, che permise il parziale drenaggio della colata verso il canale artificiale appositamente scavato. Tuttavia, la non perfetta demolizione dell’argine del canale originale non permise la totale deviazione della lava, tanto che già dopo due giorni dall’esplosione la breccia si era richiusa e la colata “artificiale” si era completamente arrestata. Nonostante ciò, diversi grossi blocchi di lava e molti detriti provenienti dalla demolizione dell’argine mediante esplosivi furono trascinati dal flusso lavico principale e andarono ad ostruire il canale di scorrimento in vari punti a valle del sito della deviazione. Questo provocò numerose tracimazioni che di fatto tolsero alimentazione ai fronti lavici principali contribuendo a rallentarli o fermarli“.

La conclusione dell’eruzione

Dalla fine di aprile sino al 6 agosto, giorno in cui terminò l’eruzione, “le lave non si spinsero mai sotto quota 1600 m slm. Soltanto in c.da Parmentelli, presso Monte Manfré e nella zona del Rifugio Sapienza vi furono altri limitati danni causati dalle colate. Oltre il tentativo di deviazione della colata principale, diverse altre misure di protezione civile, in un clima arroventato di polemiche tra gli stessi scienziati, gli ambientalisti, gli amministratori e le popolazioni locali, furono applicate per cercare di controllare e modificare l’avanzata dei flussi delle colate laviche dell’eruzione. Ciò avvenne attraverso la costruzione di barriere di contenimento, argini laterali e canali di invito su cui far confluire il flusso lavico principale previa distruzione di porzioni della colata lavica mediante l’uso di esplosivi,” spiegano i vulcanologi. “Analoghi interventi di deviazione e contenimento di colate laviche furono in seguito effettuati nel maggio 1992, durante il corso della lunga eruzione del 1991-1993. La lunghezza massima delle colate fu poco più di 7 km, la superficie ricoperta fu di circa 6 km2 e il volume totale eruttato fu di circa 79 milioni di metri cubi. Il tasso di emissione medio nelle prime settimane raggiunse circa 6.5 m3/s (stime basate sulla superficie ricoperta dalla lava per spessori medi di circa 10 m)“.

In passato, precisamente nel 1910, un’altra eruzione laterale interessò di fatto la stessa area di quella del 1983, anche se con durata inferiore (solo 26 giorni). Confrontando però i dati dell’eruzione del 1983 con quelli relativi all’evento del 1910 si nota un’evidente differenza di comportamento. A fronte di una sostanziale parità delle condizioni morfologico-ambientali, infatti, le due eruzioni mostrarono differenti valori di emissione medi e, in parte, anche diverse caratteristiche fisiche (soprattutto temperatura e conseguentemente viscosità) delle lave emesse,” concludono gli esperti.

Condividi