Gli scalatori dell’Everest contaminano il terreno con batteri super resistenti

I superbatteri lasciati dagli scalatori dell'Everest sono "estremofili", in quanto riescono a sopravvivere al freddo estremo e alle altitudini elevate
MeteoWeb

Gli alpinisti che affrontano gli 8.848 metri dell’Everest, la vetta più alta della Terra, lasciano dietro di loro una scia di batteri super-resistenti. Questi superbatteri riescono a sopravvivere al freddo estremo e alle altitudini elevatissime. Inoltre, questi batteri possono rimanere dormienti nel terreno per decenni o addirittura secoli. Gli esperti sono giunti a queste conclusioni a seguito di uno studio coordinato dall’Università americana del Colorado a Boulder e pubblicato sulla rivista Arctic, Antarctic, and Alpine Research.

Questa ricerca è riuscita tramite tecniche di nuova generazione, ad analizzare in modo completo il DNA contenuto in campioni di suolo raccolti sopra gli 8mila metri, dove centinaia di scalatori piantano ogni anno l’ultimo campo prima di approcciare all’ultima parte dell’arrampicata verso la vetta.

L’impatto ambientale del turismo sull’Everest

Lo studio in primis mette in risalto le implicazioni invisibili del turismo sull’Everest. Inoltre, apre un nuovo scenario di applicazione che riguarda i limiti ambientali alla vita sulla Terra e su altri pianeti o sulle lune ghiacciate. Il DNA trovato nei campioni di suolo è composto per la maggior parte da microrganismi detti “estremofili”, noti per la loro capacità di adattarsi a condizioni molto ostili.

In realtà l’organismo in assoluto più presente è risultato un fungo del genere Naganishia, che può resistere a livelli estremi di freddo e radiazioni UV. Tra questi, però, i ricercatori guidati da Nicholas Dragone hanno rinvenuto anche microbi fortemente associati all’uomo: lo Stafilococco (uno dei più comuni batteri della pelle e del naso) e lo Streptococco (che si trova nella bocca).

Gli studiosi non sono stati sorpresi di trovare microrganismi lasciati dagli esseri umani. L’elemento emblematico è il fatto che dei microbi che si sono evoluti per prosperare in ambienti caldi e umidi come il nostro naso e la nostra bocca sono abbastanza resistenti da sopravvivere anche ambienti climaticamente così complessi.

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