Una prostituta in hotel per ottenere le forniture di tamponi e mascherine: nuove ombre sulla gestione della pandemia

Una maxi inchiesta della Procura di Milano ha portato a sei arresti per la gestione della pandemia di Covid-19: coinvolta anche una prostituta, utilizzata per ottenere una fornitura
MeteoWeb

La Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Milano, nell’ambito di complesse indagini nel settore della criminalità organizzata, ha delegato i militari dei Comandi Provinciali di Varese e
Milano ad eseguire un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.l.P. di Milano, nei confronti di 6 soggetti ritenuti appartenenti ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione
di reati di natura economica e che ha agevolato cosche di ‘ndrangheta, segnatamente la “locale” di Legnano-Lonate Pozzolo e quella di Vibo Valentia.

In particolare, le indagini di polizia giudiziaria — svolte dai Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria di Varese e Milano e dai N.A.S. dei Carabinieri di Milano — hanno consentito di individuare un
sodalizio, del quale farebbero parte gli odierni arrestati, che si ipotizza fosse dedito all’acquisizione di società in stato di decozione che, una volta entrate nella sfera di operatività dell’organizzazione, venivano portate al fallimento non prima di averne completamente depauperato il patrimonio in danno dei creditori, primo fra tutti l’Erario, nei confronti del quale le imprese si sono rese inadempienti in merito agli obblighi dichiarativi e di pagamento delle imposte dovute.

Gli interessi della ‘Ndrangheta per la gestione del Covid

Nel corso delle investigazioni economico-finanziarie sono state ricostruite operazioni distrattive di denaro, per oltre 4 milioni di euro, dai conti correnti di tre società dichiarate fallite dai Tribunali di Milano, Bergamo e Monza; tali somme sono state successivamente drenate a favore di altre imprese del “gruppo”, anche localizzate in territorio estero, sotto forma di pagamenti di fatture per operazioni inesistenti.
E’, altresì, emerso che il gruppo criminale avesse interessi ramificati nel settore della sanità lombarda, in relazione alle attività connesse all’emergenza sanitaria da COVID 19, con particolare riferimento a forniture di materiale sanitario ed esecuzione di tamponi da parte di soggetti a ciò non professionalmente autorizzati.

Le indagini hanno altresì consentito di rilevare che uno dei promotori del sodalizio ha agevolato le locali di Lonate Pozzolo e Vibo Valentia, contribuendo al mantenimento finanziario di elementi di spicco delle stesse associazioni e dei loro familiari, nonché procurando falsi contratti di assunzione a familiari delle citate locali.

Si evidenzia che il procedimento penale verte ancora nella fase delle indagini preliminari e che la responsabilità degli indagati sarà definitivamente accertata solo ove intervenga sentenza irrevocabile di condanna. La diffusione del presente comunicato stampa è autorizzata dalla competente Procura della Repubblica in ottemperanza alle disposizioni del Decreto Legislativo n.) 8I2O21, ritenendo sussistente l’interesse pubblico all’informazione con particolare riferimento/j*asto dei reati di frode fiscale, altamente lesivi degli interessi dell’Erario, nonché di ogni finalità economico-finanziaria.

La prostituta in hotel per ottenere le forniture Covid

Spunta un’imputazione di sfruttamento della prostituzione nell’inchiesta della Dda di Milano che ha portato a 6 arresti e che verte anche su infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’emergenza Covid. Uno degli indagati, Gianluca Borelli, presunto ‘uomo cerniera’ tra i clan e il medico Cristiano Fusi, avrebbe organizzato “un incontro” tra una prostituta e un dirigente d’azienda, non indagato, in un hotel di Milano per far partire trattative per forniture di “materiale per Covid”. Lo si legge negli atti.

“Fai i tamponi ma senza dare nell’occhio”

Alfonso ti dà lo studio (…) falli entrare uno alla volta (…) dai meno nell’occhio ti prego“. Così Cristiano Fusi, all’epoca responsabile Riabilitazione specialistica degli Istituti Clinici Zucchi del gruppo San Donato, nonché “medico fisiatra” alla clinica Madonnina, avrebbe dato istruzioni a Gianluca Borelli, con precedenti per bancarotta, su come effettuare i tamponi anche se quest’ultimo non aveva alcun “titolo abilitativo per farlo”. Lo si legge in un’imputazione per esercizio abusivo della professione, contestata a Fusi, Borelli e ad un’altra persona, contenuta negli atti dell’inchiesta della Dda milanese sulle infiltrazione della ‘Ndrangheta nella sanità lombarda, che oggi ha portato a 6 arresti. Secondo l’accusa, Fusi avrebbe fatto in modo che Borelli facesse tamponi anti-Covid per la clinica Zucchi, alla Madonnina e anche per il Monza Calcio. Era il primo ad attivarsi per “il reperimento dei pazienti”, mentre Borelli era “l’esecutore materiale” degli stessi tamponi. Gli appuntamenti, si legge ancora, venivano organizzati “anche all’interno della clinica Madonnina” e Borelli veniva presentato da Fusi “come suo collega o collaboratore”. Era un addetto alla reception della clinica ad accompagnarlo “presso la stanza adibita”. Intercettato tra ottobre e novembre 2020, Fusi diceva a Borelli: “Uno alla volta li fai entrare”. E Borelli: “Ma tu vieni però?”. Fusi: “Sì sono in macchina (…) fatti dare il locale e falli entrare uno alla volta (…) inizia a fare tu!”. Per i tamponi non sarebbero stati compilati i moduli specifici, né rispettati i percorsi dei pazienti e in generale non sarebbero state seguite le normative anti-Covid.

Condividi