Terremoto Campobasso: la storia sismica del Molise

Notte di paura in Molise, dopo il terremoto di ieri sera. L'epicentro è stato localizzato a 2 km da Montagano, in provincia di Campobasso
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Dopo quanto accaduto questa notte in Molise, il geologo Giampiero Petrucci descrive la ben nota storia sismica della regione. Il Molise è la seconda regione più piccola d’Italia per estensione  geografica (dopo la Valle d’Aosta), ma certamente tra le prime se consideriamo la sismicità e soprattutto i danni indotti nel suo territorio da terremoti avvenuti nelle zone ad essa limitrofe. E’ la presenza, nella sua porzione più occidentale, della catena appenninica (notoriamente sede di eventi potenzialmente distruttivi) a conferire al Molise una sismicità non certo trascurabile così come l’esistenza di alcune faglie al limite settentrionale del Matese: tali strutture sismogenetiche si sono attivate più volte, rendendo la piana di Boiano tra le aree più soggette al rischio sismico d’Italia.

Ce lo dice anche la storia: i primi eventi sismici nella zona si perdono difatti nella notte dei tempi. E’ l’archeosismologia (scienza che studia i reperti archeologici sotto l’aspetto degli effetti subiti da terremoti) a confermare che intorno all’anno 346 si sviluppa un forte sisma nell’antica provincia del Sannium, tra Molise e Campania, il cui epicentro è situato nei pressi di Alife, al confine meridionale del massiccio del Matese. Una ventina tra lapidi ed epigrafi, conservate nei vari musei od ancora presenti sui monumenti, forniscono testimonianze di questo evento e della ricostruzione che seguirà. Probabilmente il terremoto è avvertito su un territorio molto vasto, dalla Toscana alla Lucania, con i danni maggiori localizzati ad Isernia, Alife e Venafro. Il santuario sannitico di Ercole a Montechiaro, le mura di Sepino, alcuni edifici pubblici a Teano e Sessa Aurunca sono danneggiati dal sisma. Lo studio delle loro architetture e la stima dei danni valutata dagli scritti degli annali storici fa ritenere possibile una sequenza sismica caratterizzata da più scosse di notevole intensità. Pur risultando impossibile la stima delle vittime, questo fenomeno sembra colpire duramente le popolazioni ed il tessuto urbano di molte cittadine molisane e campane.

500 anni dopo si replica, con un terremoto che è il primo evento sismico di cui si abbia effettivamente traccia scritta, anche in manoscritti rinvenuti presso l’Abbazia di Montecassino. Nell’anno 847 (o 848 secondo altre fonti) sono colpiti duramente Sannio, Matese e Molise occidentale. L’area interessata si sviluppa per più regioni e l’epicentro viene ubicato nei pressi di Letino, attuale provincia di Caserta. Tra le città più distrutte sono segnalate Telese (che sarà ricostruita in un altro sito), S. Vincenzo e soprattutto Isernia dove tra le numerose vittime figura pure il vescovo. Il sisma, di Magnitudo stimata intorno a 6.0, viene chiaramente avvertito anche a Roma ma senza danni particolari. Più o meno le stesse zone sono colpite il 4 settembre 1293 da un altro violento terremoto, di Magnitudo stimata 5.9, con epicentro nei pressi di Cerreto Sannita. Numerose vittime e danni gravi a Boiano, Isernia e Belmonte, con pesanti effetti estesi fino a Napoli dove risultano lesionate alcune chiese.

5 decenni più tardi nel 1349, non a torto considerato dai contemporanei e dagli storici come annus horribilis, si sviluppa un altro forte terremoto nel centro Italia, in un periodo in cui la penisola è sferzata da una pandemia di peste nera e da una serie di guerre intestine. Le aree più colpite risultano Lazio, Abruzzo, Molise e Campania. L’ipotesi più accreditata è che la crisi sismica si sia verificata in tre episodi, con Magnitudo elevate, probabilmente intorno a 6.5. L’area più duramente colpita è quella al confine tra Lazio e Molise dove la scossa principale si verifica il 9 settembre. Isernia, Venafro, Cardito e Cassino vengono praticamente rase al suolo, con danni seri anche alla celebre Abbazia. Lesioni importanti si registrano anche a Balsorano, Sora, Veroli, Boiano, Pescasseroli e L’Aquila. Non mancano frane, voragini e fratturazioni superficiali nel terreno. Numerosi danni si contano anche a Roma, in particolare a chiese e torri. Francesco Petrarca, in alcuni suoi scritti, ha lasciato al riguardo testimonianze significative, che confermano come la stessa capitale sia stata sconvolta dal sisma. Subisce seri danni anche un acquedotto sotterraneo di età augustea, lungo una trentina di km, che porta a Venafro le acque del Volturno. In particolare si evidenzia una sua dislocazione di circa tre metri, probabilmente nel punto di massima deformazione del suolo, nella stessa direzione della faglia generatrice del sisma (detta delle Aquae Iuliae), posta in direzione nord-ovest/sud-est alle pendici meridionali del Matese. Queste strutture tettoniche sono potenzialmente in grado di generare forti terremoti anche in futuro, ed è proprio grazie agli studi di archeosismologia e di sismologia storica che si riescono ad apporre nuovi tasselli nella valutazione dei terremoti avvenuti in passato. Per questo è sempre opportuno, se non fondamentale, ricordare questi eventi, seppur tanto lontani nel tempo.

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Fig. 1. Le intensità macrosismiche per il terremoto che colpì il centro Italia nel 1349 (da CPTI15, www.emidius.mi.ingv.it)

Passa poco più di un secolo ed arriva un’altra catastrofe che, per intensità e distribuzione areale degli effetti, può essere considerata una delle più importanti crisi sismiche di tutti i tempi che colpisce il nostro paese. La prima scossa si verifica nella notte del 5 dicembre 1456. La Magnitudo, stimata in base alla distribuzione dei diversi effetti macrosismici, è di 6.9. Il terremoto colpisce soprattutto il Sannio e l’Irpinia con effetti devastanti nelle cittadine di Apice e Paduli. Danni importanti si registrano anche ad Ariano, prossimo all’epicentro, nella Capitanata pugliese, e perfino a Napoli, dove crolla il campanile della chiesa di Santa Chiara. A meno di un mese di distanza si verifica un altro evento rilevante che colpisce però un’area più a nord dalla precedente. La Magnitudo stimata è intorno a 7.0. Il terremoto produce danni gravi nell’area del Matese, ad Isernia (circa 1500 morti), Boiano, Campobasso e nell’intero Molise, con gli effetti più importanti a Frosolone, vicino all’epicentro, e Vinchiaturo, con risentimenti degli effetti che coinvolgono anche alcune aree della Puglia. Nel gennaio 1457 la sequenza sismica si chiude con un terremoto di magnitudo stimata intorno a 6.0 che travolge l’Abruzzo, in particolare il comprensorio delle Majella e del Gran Sasso. L’intera sequenza sismica colpisce un’area di circa 18.000 chilometri quadrati, dal Lazio alla Basilicata e dal Tirreno all’Adriatico, provocando nel 6% dell’intero territorio nazionale danni riconducibili al grado VIII della scala MCS. Stimati dai 20mila ai 30mila morti. L’enorme cifra di vittime si deve anche alla pessima qualità edilizia dei fabbricati i cui muri spesso erano costituiti da ciottoli di fiume assemblati senza malta cementizia.

Ai fini della ricostruzione macrosismica di questo evento si è rivelata molto importante l’analisi di antichi documenti conservati nelle biblioteche e negli archivi ecclesiastici, tra i quali una sorta di codice coevo ai sismi, redatto da Giannozzo Manetti che, per conto del Re Alfonso d’Aragona, visita le zone colpite, riportando minuziosamente il quadro dei danni e le vittime. Il testo, De Terraemotu Libri Tres, rappresenta in pratica un primo catalogo sismico, sia pure con i limiti comprensibili dovuti alla scarsa conoscenza del fenomeno dal punto di vista scientifico. Tuttavia, ancora oggi il quadro nel quale si verifica la successione di questi terremoti non risulta del tutto chiaro. A quell’epoca invece si attribuisce grande importanza alla ciclica apparizione della famosa cometa di Halley, presente in cielo pochi giorni prima dell’evento sismico. Le credenze medievali attribuivano al corpo celeste un preveggente segno infausto da cui sarebbe scaturito il disastro naturale. Oggi ovviamente, grazie al progresso scientifico, tutto è diverso ma le mappe di pericolosità attuali sembrano comunque in genere sottostimate rispetto a quanto accaduto nel passato.

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Fig. 2. Le intensità macrosismiche per il terremoto che colpì il centro Italia nel 1456 (da CPTI15, www.emidius.mi.ingv.it)

Il 5 giugno 1688 un grande terremoto, di Magnitudo stimata intorno a 7.0, colpisce la parte meridionale del Matese, al confine tra Molise e Campania dove si sviluppano i danni maggiori, con almeno 8mila vittime. Tra i paesi molisani più colpiti risulta Guardiaregia mentre è soprattutto nella porzione campana che vengono registrate le distruzioni principali (su tutte Cerreto Sannita ricostruito poi in un altro sito). Questo evento, seppur con epicentro non localizzato in Molise ma nei pressi di Civitella Licinio (attuale provincia di Benevento), dimostra come la piccola regione non sia comunque immune da fenomeni sismici originati nelle aree ad essa limitrofe. Situazione similare il 3 novembre 1706, con un terremoto di Magnitudo 6.8 ed epicentro posizionato sul massiccio della Majella. Anche in questo caso difatti la scossa è ubicata all’esterno dei confini molisani ma un po’ in tutta la regione si sviluppano lesioni significative, in particolare ad Isernia (dove subisce gravi danni la cattedrale) e Venafro (con crolli in numerose chiese), Acquaviva, Agnone, Capracotta, Ferrazzano, Larino e perfino a Termoli (con crolli nel duomo). Circa 2500 le vittime dell’evento, avvertito da Cassino a Foggia, che colpisce in particolare l’Abruzzo meridionale.

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Fig. 3. Le intensità macrosismiche per il terremoto che colpì il centro Italia nel 1688. In Molise venne interessata soprattutto l’attuale provincia di Campobasso (da CPTI15, www.emidius.mi.ingv.it)

Dopo quasi un secolo esatto ecco il più forte terremoto che abbia mai avuto origine in Molise. Alle ore 22 del 26 luglio 1805, con epicentro nei pressi della cittadina di Frosolone (rasa letteralmente al suolo con oltre 500 morti), si sviluppa una scossa di Magnitudo 6.7. Interi paesi vengono ridotti a cumuli di macerie, come Baranello, Carpinone, Guardiaregia, Cantalupo, S. Polo, Macchiagodena, Vinchiaturo e Toro. Questi centri “non esistono più” come recitano le prime, disperate, corrispondenze degli inviati di Ferdinando IV, Re delle Due Sicilie, sui luoghi colpiti dall’immane tragedia. Oltre 200 i siti interessati dagli effetti del sisma, incluse importanti città come Campobasso ed Isernia, dove si conteranno circa 500 morti e molti edifici storici gravemente danneggiati. A Napoli, che è ancora la città più popolosa d’Italia, le conseguenze del terremoto sono significative, con numerosi palazzi lesionati, in particolare nel centro storico. Il terremoto è avvertito da Spoleto a Cosenza e si registrano effetti anche a Melfi, Salerno ed Avellino. L’inchiesta ufficiale, portata avanti dal governo borbonico, censirà oltre 5500 vittime, con una insolita e curiosa peculiarità: risultano infatti maggiormente colpiti gli edifici ed i palazzi signorili mentre le case definite dei poveri, costruite con pietre a secco e senza malta cementizia, paiono meno danneggiate. Quasi una sorta di monito vendicativo per l’enorme divario sociale esistente tra gli aristocratici ed il popolino, come qualche cronista avrebbe riportato in alcuni scritti coevi. Il terremoto molisano del 1805, detto di Sant’Anna, perché accaduto proprio nel giorno dedicato alla madre della Beata Vergine, rappresenta un evento importante dal punto di vista scientifico. Esso conferma, infatti, quanto il bacino di Bojano sia un’area ad elevata pericolosità sismica. L’intero cratere colpito dal terremoto del 1805 subisce significativi sconvolgimenti anche dal punto di vista geomorfologico. Numerose sono le fratture e fenditure che si aprono lungo i versanti settentrionali del Matese. Diverse sono anche le evidenze di fagliazione superficiale, come a Guardiaregia e Morcone, dove le dislocazioni verticali superano il metro e mezzo. Fenomeni di liquefazione dei terreni vengono segnalati a Cantalupo e nascono nuove sorgenti. Vengono inoltre rilevate anomale oscillazioni del livello marino da Gaeta a Sorrento e perfino a Capri. Un evento dunque cui non manca niente per essere definito un “mostro”, il più terrificante che abbia sconvolto il territorio molisano negli ultimi 300 anni.

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Fig. 4. Le intensità macrosismiche per il terremoto che colpì il Molise nel 1805 (da CPTI15, www.emidius.mi.ingv.it)

Tra ‘800 e ‘900 il Molise è teatro di terremoti non fortissimi ma che comunque creano più di un problema al territorio. Il 6 giugno 1882 una scossa di Magnitudo 5.2 provoca diversi crolli a Monteroduni, Vinchiaturo ed Isernia, con 2 vittime. Il 4 ottobre 1913 un sisma di Magnitudo 5.3 procura danni significativi a Jelsi, Vinchiaturo, Baranello e Toro. Questi eventi, assieme ad altri minori ed a quelli originati fuori dai confini regionali ma fortemente avvertiti in Molise (Avezzano 1915, Vulture 1930, Irpinia 1962 e 1980, ecc.), confermano l’alta sismicità dell’area che per quanto riguarda il Novecento culmina il 7 maggio 1984 in uno sciame sismico piuttosto intenso e prolungato, con epicentro principale nei Monti della Meta. Si tratta di un evento talora dimenticato, ma che, con la sua scossa principale di Magnitudo 5.9, invece genera scompiglio in una settantina di Comuni a cavallo di Lazio, Abruzzo e Molise. In quest’ultima regione le cittadine più colpite, con crolli estesi e danni ingenti, sono Colli al Volturno, Pizzone, Acquaviva, Scapoli e la stessa Isernia dove si segnalano numerosi edifici lesionati. 7 morti e 6mila sfollati il pesante bilancio di questo sciame.

Infine nel nuovo millennio si presenta un altro “mostro”, meno potente dei precedenti ma se vogliamo altrettanto subdolo e più vigliacco: il 31 ottobre 2002 è ancora ben vivo nella memoria di tutti noi per le tragiche conseguenze che gettano l’Italia intera nell’angoscia e nel cordoglio più profondo. Alle 11.32 un terremoto di magnitudo 5.7 colpisce la zona al confine tra Molise e Puglia. Della durata di circa un minuto ed avvertita chiaramente dalle Marche alla Basilicata, la scossa ha il suo epicentro nei dintorni della cittadina molisana di S. Giuliano di Puglia. Si tratta di in un’area che, pur avendo risentito in passato di eventi sismici localizzati in zone relativamente vicine (Gargano), non è stata in tempi storici sede di sismicità di elevata energia.

S. Giuliano è la città più colpita, non tanto per i danni subiti nell’intero territorio comunale, che sono relativamente contenuti, ma per una tragedia che si consuma in un edificio scolastico. L’unico fabbricato che crolla a seguito del terremoto è infatti la Scuola “Francesco Iovine”: in quel momento nell’istituto sono presenti 4 insegnanti, 2 bidelli e 58 bambini. Nel crollo muoiono una maestra e 27 bambini. Il giorno seguente, 1 novembre, si registra un’altra forte scossa, di magnitudo prossima a quella precedente, con epicentro leggermente migrato ad ovest, nei pressi di Ripabottoni, che provoca ulteriori lesioni sui fabbricati ed il crollo del campanile di Castellino del Biferno. La sequenza sismica continua per qualche mese, con quasi 2000 scosse di piccola magnitudo ed ipocentri localizzati a profondità tra 18 e 20 km circa.

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Fig. 5. Le intensità macrosismiche per il terremoto che colpisce S. Giuliano nel 2002. Si noti l’area relativamente ristretta dei risentimenti sismici (da CPTI15, www.emidius.mi.ingv.it)

I comuni sinistrati saranno una cinquantina, di cui circa il 25% in Puglia. In Molise, tra gli altri, figurano nella lista Casalnuovo Monterotaro, Bonefro, Ripabottoni, Castellino del Biferno e S. Croce di Magliano, Nel quadro generale degli effetti del sisma, sia in termini di vite umane che di danni strutturali, il bilancio negativo, con 30 morti in totale, si dovrà attribuire quasi esclusivamente al crollo della scuola. Il fatto darà il via ad accese polemiche sulla sicurezza dell’edificio scolastico che, recentemente ristrutturato, aveva subito una sopraelevazione, risultata poi a livello giudiziario non idonea e inadeguata. Quella di San Giuliano non è stata solo una tragedia locale di un paese di un migliaio di anime, ma anche un punto di non ritorno che ha dato il via ad un ripensamento sulle strategie di verifica delle vulnerabilità e della messa in sicurezza sismica degli edifici pubblici e sulla stessa classificazione sismica del territorio nazionale. Nel 2003 viene presentata una nuova classificazione del territorio italiano in base alla pericolosità sismica, già per altro quasi completata al momento del tragico evento di S. Giuliano, che sembra essere molto più cautelativa, tanto che i soli comuni molisani a rischio sismico passano da 50 a 101.

Tuttavia questo espediente si configura come un’arma a doppio taglio. Innalzare il livello di rischio del territorio significa estendere ulteriormente le perimetrazioni delle potenziali aree vulnerabili ai terremoti, che per condizioni diverse, vetustà degli edifici, situazioni geologiche che amplificano le onde sismiche, meriterebbero interventi massivi per limitare i danni e proteggere le popolazioni a rischio. Gran parte degli edifici costruiti in Italia prima del 1984 non ha alcun tipo di protezione antisismica, ed a questo si aggiunge l’esistenza di un tessuto urbanistico storico, diffuso in tutto il Paese, che è estremamente vulnerabile ai terremoti. Lo sforzo dei ricercatori e dei sismologi deve certamente andare nella direzione di una più attendibile classificazione sismica del territorio nazionale, anche utilizzando modelli e metodi sempre più affinati, per comprendere il reale rischio a cui il Paese è soggetto ed i tempi di ritorno dei terremoti, ma senza una politica del territorio che vada nella stessa direzione ogni tentativo di rendere più cautelative possibili le valutazioni del rischio sismico risulterà vano, o potrà avere addirittura un effetto opposto.

Un territorio a rischio così esteso richiede stanziamenti economici troppo elevati per poter essere sanato, ed inoltre i tempi della politica non coincidono con quelli tecnici, molto più lunghi, necessari per realizzare gli interventi sanatori. Si è preferito così, fino ai giorni nostri, non far nulla ed intervenire solo nelle situazioni di emergenza. Prima di estendere ulteriormente le zone a rischio, sarebbe più efficace cominciare ad intervenire su quelle aree che storicamente hanno subito i danni maggiori per i terremoti, con finanziamenti finalizzati e monitorati dal governo centrale. La difesa dai terremoti non è una questione scientifica, né tanto meno etica, ma prima di tutto politica, perché sono le case che crollano a generare le vittime, e solo una adeguata gestione politica del territorio può garantire una minore vulnerabilità. Tuttavia, permane in Italia il problema dei centri storici antichi ubicati in aree ad alto rischio sismico, per i quali il livello di difesa dovrebbe prevedere soluzioni tecnologiche altamente innovative e dispendiose. Ma il caso del terremoto di S. Giuliano di Puglia rimane emblematico per la sufficienza e l’approssimazione con cui si sono affrontate le scelte progettuali di un edificio in cui dovrebbero crescere ed istruirsi le generazioni future. Un esempio tra i più negativi della storia sismica italiana e che dovrebbe far riflettere sull’importanza di vivere in città sicure. Perché purtroppo da allora poco o niente è cambiato nel nostro paese dal punto di vista dello sviluppo di costruzioni veramente antisismiche.

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