Le correlazioni tra cancro, rischio cardiovascolare e patologie cardiache sono sempre più importanti per gli oltre 3 milioni di persone che in Italia vivono con una neoplasia. Per un paziente oncologico un evento cardiovascolare riduce la percentuale di sopravvivenza a 8 anni del 20% rispetto al resto della popolazione (60% vs 80%). Inoltre, dopo la diagnosi, chi ha un tumore presenta anche un +42% di rischio cardiovascolare. Da qui l’esigenza di gestire questi aspetti del paziente da parte di un team multidisciplinare che deve comprendere oncologo, cardiologo, ematologo, lo specialista in medicina di laboratorio e altri professionisti. C’è anche bisogno di istituire una rete cardio-oncologica che garantisca un alto standard di cura anche ai pazienti residenti in località che non hanno team cardio-oncologici dedicati o PDTA specifici e consolidati. E’ quanto emerso in occasione della presentazione, alla Camera dei Deputati, del libro dal titolo “Cardio-Oncology. Management of toxicities in the era of immunotherapy” (Ed. Springer), a cura di Antonio Russo, Nicola Maurea, Dimitrios Farmakis e Antonio Giordano.
“Il volume raccoglie tutte le ultime evidenze scientifiche sulla cardioncologia, una disciplina che ha acquisito una notevole importanza negli ultimi anni – sottolinea Antonio Russo, Tesoriere AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), Presidente COMU (Collegio Oncologi Medici Universitari) e Professore Ordinario di Oncologia Medica, DICHIRONS – Università degli Studi di Palermo – Questo è dovuto anche all’introduzione nella pratica clinica di nuove categorie di farmaci come quelli immunoterapici che hanno un peculiare profilo di tossicità. Sono delle molecole che portano, oltre ad un bagaglio importante di effetti benefici, anche un potenziale spettro di eventi avversi in grado potenzialmente di causare anomalie su tutti gli organi e apparati, compreso quello cardiovascolare. L’incidenza maggiore può arrivare fino al 5% e presentare tassi di mortalità che raggiungono anche il 40% come nel caso della miocardite. Si rende perciò necessario istituire corsi di formazione sulla cardio-oncologia nel percorso formativo dei medici, offrendo un training avanzato per coloro i quali hanno già ricevuto una formale istruzione nel campo delle malattie cardiovascolari, dell’oncologia medica o dell’ematologia”. “Adottare strategie di prevenzione, diagnosi e trattamento delle complicanze cardiovascolari legate alle terapie antitumorali è diventato essenziale nel percorso di cura di un paziente – afferma Saverio Cinieri, Presidente Nazionale AIOM – Una corretta valutazione della funzione cardiaca al basale, durante e dopo le cure anti-tumorali consente di limitare l’incidenza degli eventi avversi cardiovascolari e ne permette una gestione adeguata nel caso si manifestino. AIOM è da sempre sensibile a queste tematiche e da diversi anni ha promosso la creazione di un gruppo di lavoro interdisciplinare che coinvolge altre Società Scientifiche. Nel 2021 abbiamo pubblicato le prime Linee Guida AIOM di Cardioncologia, coordinate da Antonio Russo, con la partecipazione di molti dei colleghi presenti”. “La cardio-oncologia è una disciplina relativamente giovane – spiega Lorena Incorvaia, Coordinatrice Nazionale AIOM Giovani e Ricercatrice in Oncologia Medica presso l’Università di Palermo – L’importanza di una più stretta interazione tra oncologia e cardiologia emerge anche in nuovi contesti, che sono quelli della ricerca clinica e traslazionale. Un recente studio, che abbiamo presentato in occasione degli ultimi Congressi ASCO ed ESMO, sottolinea l’importanza di una approfondita valutazione della funzionalità cardiaca e dei fattori di rischio cardiovascolari in particolari categorie di pazienti. Tra queste ricordiamo le donne in trattamento chemioterapico per il tumore della mammella che risultano, al tempo stesso, portatrici di specifiche mutazioni in geni coinvolti nei meccanismi di riparo del DNA. Questo è un importante esempio di come in futuro, in alcuni pazienti, sia indispensabile una migliore conoscenza del background genetico, una valutazione approfondita dei fattori di rischio e l’utilizzo di specifiche strategie di screening e follow-up. Tutto questo può permettere di ottimizzazione la gestione del rischio cardiovascolare e migliorare la sopravvivenza a lungo termine durante e dopo il loro percorso di cura”.
“In questo contesto, l’utilizzo di biomarcatori precoci in grado di identificare i pazienti a maggior rischio di complicanze cardiovascolari è una sfida importante per la medicina e per la diagnostica di laboratorio – afferma Ettore Capoluongo, Professore Ordinario di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica e Direttore SOC di Patologia Clinica e Genomica, Ospedale Cannizzaro di Catania – L’impiego del dosaggio della troponina ad alta sensibilità (hsTn) si è dimostrato abbastanza efficace nell’individuare i pazienti a rischio di miocardite in assenza di altre condizioni eziologiche evidenti e riconducibili all’aumento di tale marcatore. Sia la troponina che i peptidi natriuretici (in particolare NT-proBNP) sono complementari come ausilio nell’identificare i pazienti a rischio di cardiotossicità per guidare l’uso dell’imaging. Nel volume vengono rappresentate le principali evidenze relative all’uso appropriato di tali biomarcatori. E’ però necessaria una armonizzazione dei percorsi per implementare questi test nella routine clinica e serve una maggiore collaborazione di tutti gli specialisti coinvolti. Bisogna elaborare un PDTA ad hoc che permetta a tutti i pazienti di accedere senza restrizioni a tali strategie di monitoraggio e di diagnosi precoce di complicanze indotte dai farmaci immunoterapici”.
“Le malattie cardiovascolari e le neoplasie causano circa i due terzi di tutti i decessi nel mondo occidentale – afferma Antonio Giordano, Direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine, Philadelphia e Professore di Anatomia e Istologia Patologica, Università di Siena – Questo è in parte dovuto alla condivisione, tra le due patologie, di fattori di rischio molto frequenti nella popolazione generale. Il rischio di sviluppare cardiotossicità non è lo stesso per tutti i pazienti ma dipende in larga parte da fattori legati al tipo di trattamento, alla dose di farmaco utilizzato o dalla presenza di malattie cardiovascolari preesistenti. Il programma di cura deve prevedere un’azione coordinata multi-disciplinare e personalizzata che coinvolga le differenti figure professionali. Vanno monitorati il peso, l’esercizio fisico, la gestione degli aspetti nutrizionali e l’eventuale trattamento di dislipidemia o ipertensione arteriosa”. “I recenti progressi tecnologici e terapeutici hanno lanciato nuove sfide per la presa in carico dei pazienti oncologici – afferma Marcello Ciaccio, Professore Ordinario di Biochimica Clinica, Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Palermo, Past Presidente e Presidente eletto SIBioC (Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica) – Per una corretta prevenzione e gestione degli eventi cardiovascolari nel paziente oncologico è fondamentale l’elaborazione di specifici modelli organizzativi e di percorsi formativi per tutte le figure professionali coinvolte”. “Il coinvolgimento delle associazioni pazienti è fondamentale in numerosi ambiti che riguardano gli aspetti assistenziali e di cura – afferma Ornella Campanella, Fondatrice e Presidente dell’Associazione Nazionale aBRCAdabra – Per quanto riguarda i percorsi diagnostico-terapeutici legati alla prevenzione e trattamento delle tossicità cardiovascolari l’informazione è essenziale per promuovere la conoscenza da parte dei pazienti dei principali fattori di rischio. Bisogna infine ricordare a tutti che la prevenzione delle tossicità cardiovascolari deve cominciare da un adeguato stile di vita anche dopo la diagnosi di cancro e durante le terapie. Essere protagonisti consapevoli del proprio percorso di cura significa conoscere e implementare misure per mitigare il rischio vascolare e migliorare la qualità di vita”.