“Negli anni ’90, la popolazione di plantigradi era praticamente estinta sulle Alpi centro-orientali. Una catastrofe dal punto di vista ambientalistico e per questo si diede vita al progetto Life Ursus che, tramite una serie di finanziamenti europei, permise di ripopolare l’area portando una decina di orsi dalla vicina Slovenia“. Lo riporta una nota di LNDC Animal Protection. “In seguito alle prime nascite di nuovi orsi, venne redatto il Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali (comunemente noto come PACOBACE). Tale piano fu redatto, sottoscritto e formalmente approvato da diversi enti territoriali e nazionali: Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano, Regioni Friuli Venezia Giulia, Regione Lombardia, Regione Veneto, Ministero dell’Ambiente e ISPRA”.
“Il coinvolgimento dei vari enti territoriali era dovuto al fatto che, in base al progetto iniziale, la popolazione di plantigradi avrebbe dovuto essere distribuita su tutte le Alpi centro-orientali attraverso la creazione di corridoi in grado di attirare gli orsi nei vari territori delle Regioni confinanti con il Trentino. La prima criticità, quindi, è stata quindi il rifiuto da parte delle altre Regioni ad accogliere orsi sui propri territori nonostante fossero firmatarie del PACOBACE.
Ma lo stesso PACOBACE, in un certo senso, è stata una criticità perché ha spostato la responsabilità della gestione della popolazione di orsi sugli enti territoriali anziché centralizzarla a livello statale. A tal proposito, è bene ricordare che la fauna selvatica è un patrimonio indisponibile dello Stato e quindi di tutti i cittadini italiani. Un altro aspetto importante da sottolineare è che le eventuali infrazioni alla Direttiva Habitat dell’Unione Europea commesse dalla Provincia Autonoma di Trento, che attualmente è l’unico ente responsabile della gestione degli orsi, ricadono comunque sullo Stato e pertanto su tutti i cittadini italiani.
E in questi anni, la PAT ne ha commessi tanti di errori, spesso entrando in contraddizione con quanto dichiarato dalla stessa amministrazione”, continua la nota. “Il Piano Faunistico Provinciale approvato alcuni mesi fa, infatti, prevede una serie di misure di prevenzione, monitoraggio e comunicazione che l’ente non ha mai realmente messo in campo. Si parla di cassonetti dei rifiuti a prova di orso, indagine sul comportamento dell’orso mediante radiocollari applicati a un vasto numero di soggetti, promozione di forme di custodia migliori per il bestiame, miglioramento dei corridoi faunistici, adozione di un piano di comunicazione. Ma tutto questo non è mai stato eseguito in alcun modo. L’unica azione, prevista anche nel suddetto piano faunistico, che la PAT intende mettere in campo è la “rimozione” dei soggetti eccessivamente pericolosi o dannosi.
La mancanza o l’inadeguatezza delle poche misure di prevenzione e monitoraggio attuate ha comportato che si lavorasse sempre e solo sull’emergenza ogni volta che si verificava un incidente che coinvolgeva un orso, individuando come unica soluzione la “rimozione” dell’animale coinvolto in quanto considerato pericoloso o problematico”.
“In questi anni, a partire del drammatico caso di Daniza uccisa da una dose sbagliata di narcotico, LNDC Animal Protection ha dovuto combattere sempre in queste situazioni di emergenza per tentare di arginare l’abuso di potere dell’amministrazione trentina. L’Associazione infatti ha impugnato le varie ordinanze emesse dal Presidente della PAT contro KJ2, M49, JJ4 e ora è in procinto di fare lo stesso con le nuove ordinanze contro JJ4, MJ5 e M62. Nel caso di M49 si è arrivati fino al Consiglio di Stato”, si legge ancora.
“Tuttavia, in questi anni le Associazioni sono state costrette a rincorrere la PAT impugnando una lunga serie di ordinanze emergenziali, riuscendo a contenere in parte, attraverso le pronunce del TRGA di Trento e del Consiglio di Stato, l’abuso di questo strumento extra ordinem che si colloca ai limiti delle garanzie costituzionali”, afferma l’avv. Paolo Letrari – Responsabile Grandi Carnivori LNDC Animal Protection. “Bisogna che passi il concetto che la gestione della fauna selvatica, in particolare di quella protetta, non può essere lasciata in mano a una singola amministrazione locale. Soprattutto ora, alla luce della recente modifica del II comma dell’art. 9 della Costituzione a mente del quale “la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Per questo ci rivolgeremo anche alla UE, che ha finanziato il progetto affinchè vengano rispettati i principi fissati dalla Direttiva Habitat in materia di conservazione delle specie protette, e siamo pronti ad arrivare alla Corte di Giustizia europea, che già si è pronunciata in materia nel 2020 e prima ancora nel 2018”.