È stato ampiamente riconosciuto che l’Homo sapiens abbia avuto origine in Africa, ma esiste ancora una notevole incertezza in merito al modo in cui i rami dell’evoluzione si siano poi differenziati e sui percorsi migratori della popolazione. La difficoltà a reperire queste informazioni dipende in gran parte dalla scarsità di dati fossili e genomici. Ora un team di scienziati dell’Università della California a Davis ha valutato un nuovo modello per descrivere le origini, le diversificazioni e le migrazioni degli esseri umani in Africa. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, la prima divisione tra i gruppi di esseri umani sembra essersi verificata tra 120 e 135mila anni fa.
Secondo il nuovo approccio adottato nello studio, almeno due rami evolutivi si sono divisi dal ceppo originale, per poi continuare a mescolarsi geneticamente per centinaia di migliaia di anni. Questa diversificazione, osservano gli esperti, potrebbe aver contribuito alla formazione di un gruppo umano africano ancestrale che poi con il tempo si è distinto nelle popolazioni africane contemporanee.
In questo lavoro, il gruppo di ricerca, guidato da Aaron Ragsdale, Brenna Henn e Simon Gravel, ha valutato una serie di modelli concorrenti di evoluzione e migrazione attraverso l’Africa proposti nella letteratura paleoantropologica e genetica, incorporando dati relativi al genoma della popolazione dell’Africa meridionale, orientale e occidentale. Gli esperti hanno anche considerato i genomi di 44 individui Nama moderni dell’Africa meridionale, una popolazione notoriamente caratterizzata da una eccezionale diversità genetica. Il modello suggerisce che i primi esseri umani si sono differenziati tra 120 e 135 mila anni fa, dopo che due o più popolazioni di Homo, inizialmente poco differenziate geneticamente, si erano mescolate per centinaia di migliaia di anni. A seguito di questa divergenza, gli antichi ominidi migrarono attraverso e oltre l’Africa.
Questa ricostruzione, sostengono gli esperti, rispecchia in modo più accurato la variazione genetica tra individui e gruppi umani rispetto ai modelli precedenti. In particolare, riportano gli autori, tra l’uno e il quattro per cento della differenziazione genetica tra le popolazioni umane contemporanee può essere attribuita alle variazioni di questo periodo. Questo modello, concludono gli scienziati, può avere implicazioni importanti per l’interpretazione della documentazione fossile.