Tre pietre miliari della creatività italiana provenienti dall’Archivio della fashion designer milanese Nanni Strada sono state al centro di uno studio condotto dal Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa recentemente pubblicato negli atti del congresso “The Plastics Heritage”. La ricerca, svolta nell’ambito di una collaborazione tra Archivio Nanni Strada (Milano), la conservatrice Barbara Ferriani (Milano), e ricercatori e ricercatrici del Dipartimento di Chimica, vuole contribuire a conoscere e preservare il fragilissimo patrimonio di tessuti e di abiti storici di fashion design in cui l’Italia eccelle, che tuttavia rischia di andare perduto in mancanza di soluzioni specifiche.
Fin dagli anni Settanta Nanni Strada ha concentrato la propria ricerca su nuovi processi tecnologici e sull’impiego di materiali non convenzionali, arrivando a progettare e produrre capi pionieristici. Tra quelli interessati dallo studio dell’Università di Pisa ci sono “La Pelle”, il primo abito al mondo completamente tessuto senza cuciture (grazie alla tecnologia politubolare delle macchine circolari per calzetteria); “Il Manto”, abito-mantello tagliato in un unico pezzo di tessuto, senza scarti, assemblato con cuciture avveniristiche a più aghi; e un capo della collezione “Amazonica”, prodotto nel 1976 con un tessuto non tessuto della Dupont, stampato a getto d’inchiostro. I primi due costituiscono il metaprogetto del 1973 “Il Manto e la Pelle”, premiato dall’ADI – Associazione per il Disegno Industriale con il Compasso d’Oro nel 1979; tutti e tre fanno oggi parte della Collezione permanente della Triennale di Milano, insieme ad altri capi e materiali che documentano la ricerca per la quale nel 2018 Nanni Strada ha ricevuto il Premio Compasso d’Oro anche alla carriera.
“Questi esemplari storici del fashion design presentano sfide di conservazione specifiche e senza precedenti che devono essere affrontate valutando i processi di degrado e sviluppando pratiche mirate di restauro e conservazione preventiva”, sottolinea Barbara Ferriani, conservatrice esperta di materiali moderni e contemporanei.
“Per raggiungere questo obiettivo sono necessari strumenti analitici in grado di caratterizzare i materiali polimerici multicomponenti moderni e di indagarne i fattori di rischio e le cause del degrado” aggiunge la professoressa Francesca Modugno dell’Università di Pisa.
Originariamente, infatti, le fibre tessili erano ottenute da fonti naturali, come piante e animali; lo stesso vale per le fibre artificiali del XX secolo, ottenute modificando quelle naturali. In seguito, hanno cominciato ad affermarsi sul mercato mondiale le fibre basate su polimeri di sintesi, che troviamo oggi anche in indumenti ed oggetti esposti nei musei o conservati negli archivi. È questo il caso di parte degli abiti progettati da Nanni Strada, che costituiscono quindi una sfida esemplare: capi nati da una sperimentazione che ha avuto ricadute sia estetiche che performative e ha portato a risultati pionieristici e inediti, di cui però non si poteva prevedere l’evoluzione nel tempo.
“Le informazioni sulle cause specifiche del degrado dei tessuti sintetici, che comportano la perdita sia della coesione dei materiali che del colore, sono ancora oggi molto limitate” spiega Nanni Strada. “Pertanto, studiare il comportamento delle fibre tessili sintetiche nel tempo e le loro interazioni con l’ambiente è fondamentale per impostare adeguati piani di conservazione per tessuti di design, costumi di scena e collezioni di moda”.
In particolare, i campioni prelevati dai tre abiti dell’Archivio Nanni Strada sono stati analizzati attraverso metodi di spettroscopia, pirolisi analitica, cromatografia e spettrometria di massa. Nel caso de “Il Manto” è così emerso che l’ingiallimento è probabilmente correlato all’idrolisi della frazione poliuretanica applicata sopra al tessuto principale di cotone e usata per impermeabilizzare l’indumento. Nel caso de “La Pelle” – capo rovinato durante un’estate particolarmente calda mentre era esposto in mostra – la perdita di elasticità, tecnicamente, va attribuita alla foto-ossidazione della catena poliammidica e all’influenza delle molecole del colorante sulla temperatura di transizione vetrosa (la temperatura alla quale un polimero amorfo passa da uno stato rigido a uno morbido, o viceversa).
“I risultati dello studio contribuiranno a una migliore conoscenza delle proprietà chimiche dei tessuti e al loro comportamento nel tempo e a pianificare strategie di conservazione”, conclude la professoressa Ilaria Degano dell’Università di Pisa. “Inoltre, migliorare la comprensione delle proprietà chimico-fisiche e dei processi di degradazione delle fibre sintetiche, e degli strumenti analitici per la loro valutazione, è un risultato trasferibile e vantaggioso anche per la tecnologia tessile industriale contemporanea e gli studi ambientali legati all’inquinamento da microfibre sintetiche”.
Gli autori del lavoro pubblicato negli atti del Convegno “The Plastics Heritage” di Napoli del 2022 sono per l’Università di Pisa Tommaso Nacci, Deborah Roversi, Francesca Sabatini (anche CNR-SCITEC, Perugia), Ilaria Degano e Francesca Modugno, insieme all’Archivio Nanni Strada e a Barbara Ferriani, restauratrice specializzata in progetti di restauro per primari Musei, Fondazioni e Istituzioni nazionali e internazionali. Gli studi del gruppo di ricerca sui materiali tessili moderni sono stati oggetto di attenzione anche nell’ambito del workshop “Semi-synthetic and Synthetic Textile Materials in Fashion, Design and Art” organizzato dai gruppi di lavoro ICOM-CC “Modern Materials and Contemporary Art” e “Textiles” (21-23 febbraio 2023).