La maxi truffa delle false intolleranze alimentari: “business fuori controllo, 4 milioni di esami fasulli. Quelle vere sono pochissime”

L'esperto denuncia il business incontrollato delle intolleranze alimentari evidenziando come la stragrande maggioranza di queste diagnosi siano false
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Sempre più italiani alle prese con le intolleranze alimentari. Siamo di fronte a una sorta di ‘epidemia’ oppure dietro questo aumento possono nascondersi altri fattori e anche le temibili fake news? A fare chiarezza sulle tante contraddizioni e sulle verità scientifiche è Mauro Minelli, specialista in Immunologia clinica e Allergologia e co-coordinatore della Scuola di specializzazione medica in Scienze dalla nutrizione Dipartimento di Studi Europei Jean Monnet. “Va detto forte e chiaro che certamente le intolleranze non sono responsabili di sovrappeso e obesità e che tali condizioni sono, invece, da considerarsi tendenzialmente patologiche, ad eziologia multifattoriale – spiega Minelli all’Adnkronos Salute – E, d’altro canto, le ‘vere’ intolleranze alimentari sono, rispetto agli incontrollabili boatos dei ciarlatani, decisamente più contenute in termini di numeri e di frequenza“.

Dati ufficializzati dimensionano il fenomeno fornendo, “rispetto ad una stima incerta secondo cui un italiano su cinque sarebbe convinto di essere intollerante ovvero allergico a qualche cibo, indicazioni reali numericamente molto più limitate, individuando – precisa l’esperto – solo nel 4,5% della popolazione adulta, cioè una persona su 500, storie cliniche riconducibili a vere e proprie reazioni avverse ad alimenti“. D’altro canto, secondo Minelli, “è anche vero che questo sistema progressivamente implementatosi nel corso degli ultimi anni, seppur basato su ingannevoli valutazioni, rappresenta oramai (così come segnalato dalle società scientifiche di riferimento) un vero e proprio business valutato in circa 300 milioni di euro, con circa 4 milioni di esami fasulli eseguiti in un anno e con una crescita pari all’8-10%, sempre su base annuale“. “Per quanto da non ignorare, l’argomento va dunque opportunamente dimensionato e soprattutto collocato nell’alveo scientificamente corretto delle intolleranze vere, dunque documentabili con test diagnostici validati, nell’ambito delle quali va certamente inclusa l’enzimopatia che comporta una graduale e progressiva riduzione dei livelli di lattasi nell’intestino. In Italia – osserva – i casi stimati di intolleranza al lattosio risultano essere in crescita costante, arrivando ad interessare oltre il 40% della popolazione con punte di prevalenza particolarmente elevate nelle aree meridionali“.

I motivi dell’oggettivo aumento delle intolleranze sembrano essere tanti e diversi e possono riferirsi ad una ‘cattiva’ alimentazione eventualmente basata su cibi non naturali, alla variata composizione degli alimenti per tecniche di coltura, all’uso di concimi chimici, all’impiego di conservanti, edulcoranti o altri additivi. Ma – avverte Minellia fronte di tutto ciò, occorre anche considerare l’altrettanto incontrollata proliferazione dei cosiddetti test per le intolleranze alimentari, cioè di quell’insieme di pratiche molto alternative messe in atto generalmente da personale non medico, del tutto prive di attendibilità e fondate molto più sulla fantasia del variegato ed eterogeneo mondo degli operatori che non sulla scienza“. “Tra le varie affermazioni correlate all’argomento, una delle più false e mistificanti (ma anche più redditizie in termini commerciali) è quella che associa la diagnostica delle intolleranze alimentari alla cura dell’obesità. La procedura più classica è quella di far intendere al paziente che costui (o, più frequentemente, costei) ingrassa perché è intollerante o, magari, allergico a uno o più specifici alimenti – denuncia l’immunologo – La pratica delle pseudo-analisi conseguentemente eseguite porta a diete di esclusione per effetto delle quali il paziente qualche chilogrammo riesce magari pure a perderlo, ma solo per aver mangiato di meno e non certamente per avere eliminato uno o più alimenti specifici scovati dalle prove che il ministero della Salute ha già ufficialmente definito ‘prive di fondamento scientifico’ e, dunque, inaffidabili. Sono certamente da segnalare, tra i test più gettonati, quello ‘kinesiologico’ che valuta le variazioni di forza muscolare che il soggetto esaminato dovrebbe subire magari stringendo in mano, di volta in volta, un frutto, un panino o, magari, un ortaggio; il ‘vega test’ che, invece, analizza le variazioni di conduttanza della cute conseguenti al contatto con un alimento considerato a rischio – elenca – Il ‘test citotossico’ eseguito su sangue, che esamina le eventuali modificazioni di forma dei globuli bianchi messi a contatto con un alimento; e poi ancora il ‘test del riflesso cardio-auricolare’, il ‘test dell’iride’, la ‘analisi del capello’, la ‘biorisonanza’ ed altri ancora. E sono così tanto inattendibili tutti questi test che, se il medesimo esame dovesse essere ripetuto dopo pochissimo tempo sullo stesso soggetto, è possibile che si ottengano risultati del tutto diversi da quelli conseguiti solo qualche ora prima“.

Come proteggersi? “L’alleanza medico-paziente nella corretta gestione e prevenzione delle reazioni avverse ad alimenti – risponde MinelliUn’attenzione particolare va dunque riservata alla gestione corretta e competente delle patologie connesse agli alimenti, per la cui diagnosi scientificamente corretta va progressivamente arricchendosi e perfezionandosi l’armamentario di protocolli diagnostici armonizzati e validati da evidenze scientifiche probanti“. “Anche al paziente potenzialmente allergico, piuttosto che ‘intollerante’, competono, però, obblighi specifici che non possono non prevedere il suo fedele e convinto allineamento al regime dietetico prescritto, evitando decisioni autonome o pratiche ‘fai da te’ e rispettando con rigore e coerenza tutte le indicazioni, fornite da medici e biologi nutrizionisti tra loro interconnessi, inerenti le abitudini alimentari in casa e fuori casa e gli stili di vita. Sarà – suggerisce Minelliinoltre, cura del paziente leggere con attenzione le etichette; rilevare eventuali allergeni nascosti; riconoscere e soppesare con attenzione possibili sintomi predittivi di un’eventuale reazione avversa (prurito montante, orticaria, edemi, fame d’aria, difficoltà a deglutire, alterazione del tono della voce) e, dunque, tenere sempre a disposizione farmaci salvavita per l’urgenza medica. Dovrà – conclude – essere cura del paziente dichiarare sempre la propria allergia ai gestori della ristorazione richiedendo, semmai, la carta degli ingredienti utilizzati per la preparazione dei pasti prima della loro assunzione“.

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