Livelli anormali di alcune proteine, molte delle quali hanno ruoli al di fuori del cervello, potrebbero essere un segno precoce della malattia di Alzheimer o di condizioni simili. Lo dimostra uno studio del National Institute on Aging degli Stati Uniti a Bethesda, nel Maryland, pubblicato su Science Translational Medicine. La ricerca ha coinvolto migliaia di persone nell’arco di venticinque anni e ha notato che condizioni di demenza erano legate a livelli sbilanciati di proteine, durante la mezza eta’.
I risultati potrebbero contribuire allo sviluppo di nuovi test diagnostici o di trattamenti per le malattie che causano la demenza. La maggior parte delle proteine ha funzioni non correlate al cervello. “Stiamo assistendo a un forte coinvolgimento della biologia periferica decenni prima dell’insorgenza tipica della demenza”, ha affermato Keenan Walker, autore dello studio e neuroscienziato presso il National Institute on Aging degli Stati Uniti a Bethesda, nel Maryland.
Dotati di campioni di sangue di oltre 10.000 partecipanti, Walker e i suoi colleghi si sono chiesti se fosse possibile trovare predittori della demenza anni prima del suo insorgere, attraverso l’esame del proteoma di una persona, ovvero l’insieme di tutte le proteine espresse nell’organismo. Gli scienziati hanno, poi, cercato eventuali segni di disregolazione, ossia quando i livelli proteine sono molto piu’ alti o bassi del normale. I campioni sono stati raccolti nell’ambito di uno studio in corso, iniziato nel 1987.
I partecipanti sono tornati a farsi visitare sei volte nell’arco di tre decenni e, durante questo periodo, circa uno su cinque di loro si e’ ammalato di demenza. I ricercatori hanno trovato 32 proteine che, se disregolate, in persone di eta’ compresa tra i 45 e i 60 anni, erano fortemente associate a un’elevata probabilita’ di sviluppare demenza in eta’ avanzata. “Non e’ ancora chiaro come esattamente queste proteine possano essere coinvolte nella malattia, ma e’ altamente improbabile che il legame sia dovuto solo al caso”, ha affermato Walker.
“Non tutte le proteine hanno mostrato cambiamenti sia nel plasma che nei tessuti cerebrali”, ha detto Nicholas Seyfried, biochimico e neurologo presso la Emory University di Atlanta, in Georgia. “Ad esempio, una delle proteine alla quale e’ stato associato un maggior rischio di demenza, chiamata GDF15, non e’ stata rilevata nel cervello, suggerendo che anche i meccanismi al di sotto del collo potrebbero svolgere un ruolo”, ha aggiunto Seyfried. Secondo Walker, sebbene il proteoma di una persona non sia in grado di predire da solo il rischio di demenza, potrebbe rafforzare la forza degli indicatori esistenti che potrebbero favorire l’insorgenza della malattia, come l’eta’ e la storia familiare.
Come previsto, alcune delle proteine identificate dai ricercatori sono attive nel cervello, ma la maggior parte ha altri ruoli nell’organismo. Alcune sono state collegate alla proteostasi, il processo di bilanciamento dei livelli di proteine nel proteoma. Questa regolazione e’ importante per evitare che le proteine si aggreghino, come accade alle proteine amiloidi e tau nel cervello delle persone affette da Alzheimer, la causa piu’ comune di demenza.
Lo studio ha riscontrato livelli alterati di molte proteine sia nei tessuti cerebrali delle persone decedute con il morbo di Alzheimer, sia nel sangue di quelle ancora in vita. Queste sono state associate alla presenza delle proteine amiloidi e tau, il che indica che queste sono in qualche modo coinvolte nei processi specifici della malattia.
“Altre proteine identificate nello studio sono state collegate al sistema immunitario, avvalorando la crescente evidenza del ruolo della funzione immunitaria innata e adattativa nella demenza”, ha dichiarato Jin-Tai Yu, medico e scienziato specializzato in demenza presso la Fudan University di Shanghai, in Cina. Yu e il suo gruppo hanno gia’ scoperto che le persone affette da malattie immunitarie sono piu’ vulnerabili all’Alzheimer in eta’ avanzata.
C’e’ ancora molta strada da fare per capire esattamente come queste proteine si inseriscono nella fisiologia della demenza, e occorre una comprensione molto piu’ approfondita dei meccanismi sottostanti prima che le persone possano trarne beneficio. “Tali conoscenze potrebbero potenzialmente aprire le porte a interventi precoci”, ha spiegato Seyfried. “L’obiettivo futuro e’ determinare se queste proteine possano essere utilizzate come marcatori per contribuire a fornire trattamenti personalizzati nel trattamento della demenza”, ha concluso Walker.