Il complesso intreccio dei flussi migratori a livello globale

Le condizioni socioeconomiche sono il principale fattore che spinge i flussi migratori, ma l'aumento degli eventi climatici estremi potrebbe contribuire a rafforzare gli spostamenti di popolazione, in particolare verso le periferie urbane
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Nonostante il tema delle migrazioni sia continuamente al centro del dibattito pubblico, fino ad oggi non esisteva una mappa globale e ad alta risoluzione che permettesse di monitorare e ricostruire l’andamento dei flussi migratori. A colmare questa lacuna ci ha pensato ora un gruppo internazionale di ricerca che include Raya Muttarak, professoressa al Dipartimento di Scienze Statistiche “Paolo Fortunati” dell’Università di Bologna. Lo studio – pubblicato su Nature Human Behaviour – mette a disposizione un database (accessibile liberamente e organizzato anche in una mappa interattiva) grazie al quale è possibile esaminare le migrazioni umane a livello globale negli ultimi due decenni (2000-2019), non solo tra Paesi diversi e all’interno di singoli Paesi, ma anche tra diverse aree geografiche e socioeconomiche.

Raccogliendo dati annuali sulle migrazioni umane a livello globale, il database che abbiamo realizzato può essere molto utile per rispondere a domande fondamentali su questo fenomeno, ad esempio il rapporto tra zone urbane e zone rurali, oppure il ruolo del cambiamento climatico“, spiega la professoressa Muttarak. “Queste informazioni, inoltre, possono essere combinate con dati ambientali e socio-economici, consentendo un’analisi completa dei diversi fattori che contribuiscono a innescare i fenomeni migratori”.

A livello globale, lo studio mostra che a guidare le migrazioni umane è innanzitutto il livello di sviluppo socioeconomico delle diverse aree geografiche e dei diversi paesi: un fattore che al momento supera tutti gli altri, inclusi gli effetti del cambiamento climatico.

I ricercatori notano però che l’aumento degli eventi climatici estremi come ondate di calore, inondazioni o prolungati periodi di siccità farà crescere la vulnerabilità delle persone che vivono nelle periferie degli agglomerati urbani, che già oggi sono tra le destinazioni principali per i migranti, in particolare in Africa. La crescita della popolazione urbana indotta dai flussi migratori si può già vedere chiaramente infatti in città della Nigeria, dell’Angola, del Kenya e della Tanzania.

D’altro canto, mentre nei Paesi e nelle regioni a basso reddito si prevede che la quota di persone che vivono nelle aree urbane continuerà a crescere a scapito delle zone rurali, in alcuni paesi ad alto reddito si notano segnali di contro-urbanizzazione, in cui il flusso migratorio va dalla città alla campagna. Ma fenomeni simili si registrano anche in Indonesia, Congo, Venezuela e Pakistan.

I flussi migratori sono un fenomeno più complesso di quanto si tende a pensare”, sintetizza Venla Niva, ricercatrice alla Aalto University (Finlandia) e prima autrice dello studio. “Spesso non sono i più poveri tra i poveri quelli che fuggono da condizioni socioeconomiche o ambientali drammatiche, ma sono le persone che hanno ancora la possibilità di spostarsi: per questo, i decisori politici dovrebbero concentrarsi su offrire loro supporto e opportunità di crescita piuttosto che sul blocco dell’immigrazione e la chiusura delle frontiere”.

Lo studio è stato pubblicato su Nature Human Behaviour con il titolo “World’s human migration patterns in 2000–2019 unveiled by high-resolution data”. Per l’Università di Bologna ha partecipato Raya Muttarak, Professoressa al Dipartimento di Scienze Statistiche “Paolo Fortunati” e Principal Investigator del progetto ERC Consolidator “POPCLIMA:  Population Dynamics under Global Climate Change”.

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