“Rescue Permafrost”: raffreddare il terreno per garantirne la tenuta

A Cortina d’Ampezzo la presentazione del progetto a cui partecipa anche la Libera Università di Bolzano
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Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia significativa per diversi ecosistemi montani. Uno degli esempi è la fusione del permafrost, uno strato di terreno permanentemente congelato, che può portare a diverse conseguenze negative, tra cui l’instabilità del suolo e danni alle infrastrutture costruite nel territorio montano. L’innovazione tecnologica può però contribuire fattivamente alla conservazione dei delicati ecosistemi di montagna. Ne è un esempio concreto il progetto “Rescue Permafrost” che è stato presentato recentemente nello splendido scenario naturale del Parco delle Tofane, nelle Dolomiti ampezzane. Un intervento ambizioso sul fronte della sostenibilità che vede un contributo importante anche della Libera Università di Bolzano, con il know-how del team di ricercatori in Fisica Tecnica Ambientale della neonata Facoltà di Ingegneria di unibz, guidato dal prof. Andrea Gasparella.

La stazione di monte della seggiovia Pian Ra Valles – Ra Valles – Bus Tofana è stata scelta come luogo di sperimentazione per dimostrare l’efficacia di questa soluzione, offrendo un esempio concreto di come l’innovazione tecnologica possa contribuire a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sul permafrost nelle zone alpine. L’innovazione principale di questo progetto è la capacità di prevenire o rallentare il processo di scioglimento del permafrost, causato dalla diffusione del calore proveniente dalle masse circostanti. L’obiettivo è raggiunto attraverso l’implementazione di un ciclo frigorifero avanzato, in grado di trasferire il calore dalle zone più fredde a quelle più calde. La macchina frigorifera installata utilizza l’energia meccanica per facilitare lo scambio di calore tra il permafrost, la sorgente fredda, da cui viene estratto il calore raffreddandolo ulteriormente, e l’ambiente esterno, la sorgente calda, a cui viene ceduto il calore. Il sistema è alimentato da un impianto geotermico combinato con una pompa di calore, che è alimentata elettricamente da un gruppo di pannelli fotovoltaici installati sulla copertura della stazione di Ra Valles. L’intero processo è alimentato principalmente da fonti di energia rinnovabile, riducendo in modo significativo le emissioni di CO2. Questo approccio rende “Rescue Permafrost” non solo altamente innovativo ma anche ecologicamente sostenibile e “green”.

Il team di ricerca di cui fanno parte i proff Andrea Gasparella (responsabile) e Giovanni Pernigotto, si è occupato della valutazione dell’efficacia della soluzione tecnologica proposta – un sistema geotermico – e dello studio del relativo contributo per la preservazione del permafrost e della stabilità dell’area in un contesto di cambiamento climatico accelerato “Una delle prime attività è stata la simulazione della risposta del terreno alle sollecitazioni climatiche esterne, seguita dall’analisi dell’impatto della soluzione proposta, cioè del sistema geotermico, sul profilo della temperatura del terreno”, spiega Gasparella. “La validazione dei risultati numerici ottenuti ed il monitoraggio delle condizioni del terreno rappresentano gli ultimi due aspetti del progetto, finalizzati a garantire l’efficacia della soluzione tecnologica adottata sul lungo termine, nonché la sua efficienza sotto il profilo energetico”. A tal fine, è stato installato un sistema di sensori sia nel terreno sia in corrispondenza di alcune sonde dell’impianto geotermico, così da poter monitorare le effettive condizioni termiche a varie profondità, validare i risultati ed accertare che l’impianto possa operare in condizioni ottimali, sfruttando al massimo l’energia elettrica da fonte fotovoltaica generata in loco.

In conclusione, questo progetto rappresenta un’interessante soluzione per quanto riguarda la conservazione del permafrost nelle alte quote montane”, afferma Pernigotto. “L’utilizzo di tecnologie geotermiche innovative, combinate con sistemi di generazione di energia da fonti rinnovabili, può rappresentare una soluzione promettente per mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico sul terreno, che potrà essere replicata in altre località e strutture per garantire continuità della loro fruibilità anche in futuro”.

L’Ing. Mario Vascellari, presidente di Tofana Srl, ha coordinato il progetto con una squadra altamente qualificata, composta, oltreché dai prof. Andrea Gasparella e Giovanni Pernigotto della Facoltà di Ingegneria anche da: Claudio Valle di Geologia Applicata, l’Ing. Norbert Klammsteiner di Energytech Srl, Stefano Valle di Geoland Srl, il Dr. Martin Atzwanger di Atzwanger SpA, il prof. Claudio Zilio del Dipartimento di Tecnica e Gestione Sistemi Industriali di unipd, Mauro Valt di ARPA Veneto – Arabba, l’Ing. Roberto Mendicino di EURAC Research, l’Ing. Piero Paccagnella di Tofana Srl e l’Avv. Guido Barzazi dello Studio Legale Barzazi.

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