Vivere qualche mese nello spazio accelera l’invecchiamento e determina cambiamenti che di solito si verificano in 10-20 anni di vita sulla Terra, con effetti deleteri su occhi, cuore, DNA e metabolismo. Ma dai numerosi disturbi che colpiscono gli astronauti al ritorno dallo spazio, legati all’assenza di gravità e alla produzione di radicali liberi, possono arrivare indicazioni utili per prevenire e curare malattie dell’invecchiamento sulla Terra. Ne discutono da oggi a Firenze i massimi esperti mondiali riuniti fino al 15 settembre alla Fortezza da Basso per il convegno ”Costruire una civiltà nello spazio’‘, organizzato da Fondazione Internazionale Menarini con NASA, Sovaris Aerospace e The Foundation for Gender-Specific Medicine (FGSM).
Monitorare le conseguenze fisiche dell’esposizione degli astronauti “all’ambiente ostile dello spazio è cruciale per la salute degli astronauti, ma consentirà anche di migliorare la nostra comprensione della fisiologia umana, grazie soprattutto alla medicina di precisione”, ha affermato Michael A. Schmidt, amministratore delegato di Sovaris Aerospace, compagnia specializzata nella medicina di precisione per i voli spaziali. Nello spazio “la fisiologia umana cambia per adattarsi e il risultato è una forte accelerazione dell’invecchiamento, anche di 10-20 anni”, spiega Schmidt, osservando che “lo stress ossidativo derivato, in particolare, dalle radiazioni ionizzanti, che penetrano in migliaia di cellule a dosi elevate, altera la funzione dei mitocondri, unità di produzione di energia della cellula, e di conseguenza il metabolismo di carboidrati e lipidi. Inoltre, danneggia il DNA, modifica l’espressione dei geni e altera la lunghezza dei telomeri, i ‘cappucci’ che proteggono i cromosomi dalla degradazione e che influiscono sulla longevità”.
Se la medicina spaziale sta ancora muovendo i primi passi, “la buona notizia è che siamo anni luce più avanti rispetto alla medicina terrestre di precisione così come molti la conoscono“, sottolinea Marianne Legato, Presidente del convegno, secondo cui “la ricerca spaziale ci sta fornendo nuovi strumenti per realizzare interventi personalizzati in tema di alimentazione, attività fisica e farmaci in modo da prevenire le disabilità”, e “l’analisi della capacità degli esseri umani di adattarsi a situazioni estreme di stress, sta ampliando anche le nostre conoscenze sulla neuroplasticità e sui meccanismi che il sistema nervoso impiega per mantenere l’equilibrio di fronte alle sfide uniche dello spazio”.
Sono allo studio anche programmi di intelligenza artificiale capaci di diagnosticare malattie prima ancora della comparsa dei sintomi, biopsie liquide che con un solo prelievo di sangue riconoscono le ‘spie’ di diversi tipi di tumore, gemelli digitali con cui prevedere l’evoluzione delle malattie e nuovi sistemi di telemedicina per intervenire a distanza. Tutte innovazioni studiate per gli astronauti, ma che in un futuro non troppo lontano potranno aiutare anche i ‘terrestri’.
Al centro del convegno anche la salute mentale delle persone che nei prossimi decenni vivranno e lavoreranno in orbita o in basi permanenti sulla Luna, per le quali “è necessario che si forniscano programmi di formazione che possano aiutare a sviluppare resilienza e capacità di comunicazione interpersonale“, osserva la psicologa della NASA, Bettina Beard. E infine anche le questioni etiche aperte: l’idea di un nuovo pianeta da abitare per sfuggire agli effetti nefasti del cambiamento climatico, infatti, potrebbe essere irrealizzabile senza ‘reinventare’ la vita, ingegnerizzarla affinché possa resistere nello spazio con radiazioni e temperature estreme. “Potremmo immaginare un futuro post-umano”, afferma Brent Sherwood, vice presidente della azienda spaziale privata Blue Origin, “in cui i nostri discendenti insediati nello spazio deriveranno filogeneticamente da noi, ma non saranno come noi“.
“Fondazione Internazionale Menarini è felice di promuovere questo evento, unico nel suo genere, che coniuga le ultime novità della ricerca spaziale con le sfide etiche, politiche e legali che attendono l’umanità. Un tentativo difficile, ma sicuramente innovativo e interessante“, afferma il Presidente della Fondazione Alessandro Casini.