Gli eventi climatici estremi sono costati 16 milioni di dollari all’ora negli ultimi 20 anni. Lo afferma uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, il primo a calcolare una cifra a livello globale dei danni economici a persone e proprietà. Da una prima stima sul 2022, i costi dovuti al riscaldamento globale ammontano a 280 miliardi di euro. Tra il 2000 e il 2019, la media è stata invece di 140 miliardi, con 1,2 miliardi di persone colpite. Le cifre – probabilmente sottostimate, a causa della mancanza di dati sui Paesi a basso reddito – variano però di anno in anno, con una forbice che va dai 60 ai 230 miliardi a seconda dell’intensità di incendi, alluvioni e siccità.
Secondo i ricercatori, i periodi più costosi sono stati il 2003 (a causa di una forte ondata di calore in Europa), il 2008 (quando il ciclone Nargis si è abbattuto sul Myanmar) e il 2010 (per le alte temperature registrate in Somalia e in Russia). Il conto dei danni alle proprietà ha toccato livelli record nel 2005 e nel 2017, complice l’alto valore delle abitazioni distrutte dagli uragani negli Stati Uniti. Quasi il 60% delle perdite analizzate dallo studio si riferiscono alle vittime, mentre circa il 30% alla distruzione di proprietà e altri beni.
Le tempeste, come l’uragano Harvey e il ciclone Nargis, sono state responsabili di due terzi dei costi legati agli eventi estremi, le ondate di calore del 16%, siccità e inondazioni del 10%. Per le stime, gli studiosi hanno usato i dati dell’International Disaster Database, che raccoglie tutti i disastri con più di 10 vittime o che hanno coinvolto più di 100 persone. Hanno attribuito a ogni vita persa un valore statistico di 7 milioni di dollari, una media delle cifre usate dai governi di Stati Uniti e Regno Unito. Considerare solo i costi infrastrutturali – spiega lo studio – avrebbe provocato una distorsione dei dati tra Paesi a basso e alto reddito.