Si fa presto a dire intelligenza artificiale. Il ‘caso’ ChatGPT (l’applicazione in più rapida crescita nella storia, con oltre un miliardo di abbonati dalla sua uscita nel novembre 2022 e 100 milioni di utenti mensili attivi) ha definitivamente sdoganato il concetto di ‘intelligenza artificiale’, spostandolo da un piano fanta-immaginifico a quello di una realtà concreta, che tutti possono toccare con mano. In campo sanitario, si stima che il settore dell’intelligenza artificiale passerà dai 15 miliardi di dollari del 2023, a 103 miliardi di dollari entro il 2028 e una sua vasta implementazione potrebbe portare a sostanziali progressi nella diagnostica predittiva, compresa la diagnosi precoce del cancro. E non solo. Ma la classe medica non è ancora pronta a recepire questa rivoluzione, in atto da appena 5-6 anni, da quando cioè la disponibilità di macchine potentissime ha reso possibile costruire Intelligenze Artificiali di nuova generazione, basate sui dati e sviluppate con tecniche di apprendimento automatico. E se molti medici di vecchia generazione sono affetti da algoritmo-fobia, il pericolo tra le nuove leve è quello di una ‘distorsione da automazione’, cioè di una fiducia eccessiva nell’IA che li porti ad appiattirsi sul ‘parere’ della macchina, sacrificando il giudizio clinico.
È necessario dunque formare una generazione di ‘medici cyborg’, cioè medici con competenze informatiche avanzate, per facilitare e avvicinare le nuove generazioni all’uso di certi strumenti. Negli USA li chiamano ‘information specialist’ e sono questi medici del futuro ‘specialisti in IA’, professionisti in grado di dialogare con gli sviluppatori, di guidarli dando loro delle specifiche, capaci di interpretare i dati e mediare queste conoscenze con gli altri colleghi medici. Sono figure che non esistono ancora (anche se qualche università italiana si sta attrezzando, come la laurea MEDTEC in Medicina e Ingegneria Biomedica di Humanitas University in partnership con il Politecnico di Milano). Anche 100 anni fa non esisteva il radiologo. Eppure oggi è una figura centrale nella pratica clinica quotidiana.
Ma insomma, in campo medico l’intelligenza artificiale a che punto è? È pronta per il prime time della pratica clinica o è destinata a restare a lungo solo ‘sperimentale’? Lo abbiamo chiesto ad un ingegnere informatico e a due medici che prenderanno parte al congresso della Società Italiana di Medicina Interna in programma a Rimini dal 20 al 22 ottobre. “L’intelligenza artificiale – riflette il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna SIMI – sta entrando prepotentemente nel campo della medicina grazie alle sue innumerevoli applicazioni e potenzialità. Ritengo molto prematuro pensare che l’intelligenza artificiale possa sostituire il medico internista nel porre diagnosi e consigliare la terapia più appropriata, ma potrà certamente contribuire a perfezionare gli strumenti a disposizione del medico per l’apprendimento, l’aggiornamento, la formazione sul campo tramite le simulazioni, la diagnostica avanzata. L’intelligenza artificiale è certamente una grande opportunità anche per la ricerca perché le sue applicazioni possono accelerare la scoperta di nuove molecole farmacologiche e lo sviluppo di indagini sempre più sofisticate per la diagnosi precoce di patologie croniche”.
Si fa presto a dire ‘intelligenza artificiale’
Molti medici, alla domanda ‘l’intelligenza artificiale (IA) è già entrata nella pratica clinica rispondono decisi di sì. “Ma bisogna intendersi su cosa intendiamo per IA – ammonisce Federico Cabitza, professore associato di Informatica presso il Dipartimento di Informatica, sistemistica e comunicazione Università di Milano Bicocca – perché chi risponde di utilizzare l’IA già da tempo, riferendosi magari alla Computer Assisted Diagnosis (CAD) sugli ecografi o gli ecocardiogrammi ad esempio, che esiste da decenni, deve comprendere che oggi parliamo di ‘intelligenza artificiale’ per applicazioni completamente diverse. Il CAD dell’ecocardiografo non è quello che noi oggi intendiamo con IA. Per questo tipo di IA dobbiamo far riferimento ad applicazioni risalenti a non più di 6 anni perché l’IA di ultima generazione della quale parliamo oggi, quella basata sui dati e sviluppata con tecniche di apprendimento automatico, non può avere più di sei anni”. È infatti solo da quando sono arrivate macchine con una certa potenza di calcolo, che si è riusciti a sviluppare sistemi di IA di nuova generazione e questo è successo dopo il 2016-2017. “Prima di allora – commenta Cabitza – l’IA non funzionava gran che ed era quindi di utilità clinica marginale o nulla. Al contrario, l’IA che sta entrando negli ultimi anni in qualche dispositivo medico e quella che arriverà a breve con l’intelligenza artificiale generativa è tutt’altra cosa. E la principale differenza con l’IA del passato, è che questa funziona”. Insomma, se parlare di intelligenza artificiale porta a questo equivoco forse bisognerebbe trovare un’altra espressione.
“L’IA di nuova generazione – spiega il professor Cabitza – è basata sui dati e sviluppata con tecniche di apprendimento automatico. E questa non è ancora diffusa negli ospedali italiani, anche se è già integrata in tanti dispositivi medici. I medici che hanno usato queste applicazioni nell’arco degli ultimi 5-6 anni, lo hanno fatto finora solo nell’ambito di studi prototipali, sperimentali, a scopo di ricerca”. La maggior parte di queste applicazioni sperimentali riguarda la radiologia (molto avanzate sono le applicazioni dell’IA alla mammografia, per lo screening oncologico), ma ce ne sono anche in medicina interna, oftalmologia e in ambito gastro-enterologico a supporto degli esami endoscopici (queste al momento sono tra le più avanzate). Insomma, tante applicazioni sperimentali, ma praticamente nulla o pochissimo nella pratica clinica. L’IA insomma non è ancora ‘normalizzata’.
“Le aree interessate da questa nuova generazione di IA – rivela Cabitza – sono le diagnosi precoci in ambito di screening, la radiologia augmentata (che aiuta il radiologo a fare una diagnosi e a sbagliare di meno); altre applicazioni consentono di abbreviare la durata degli esami di imaging, risparmiando al paziente lunghe esposizioni a radiazioni ionizzanti nella TAC e riducendo ad un quarto il tempo di esecuzione di una RMN. Altre applicazioni riguardano lo sviluppo di nuovi farmaci; le IA di nuova generazione sono molto efficaci nel sondare diverse configurazioni proteiche, trovando quelle più adatte a proporsi come principi attivi. C’è già un antibiotico (Halicin) efficace contro l’antibiotico-resistenza che è stato generato da un’intelligenza artificiale nel 2019. Interessanti anche le applicazioni sperimentali nell’arruolamento di pazienti negli studi clinici. Sappiamo che ci vuole molto tempo prima di avere una coorte di pazienti adatta ad uno studio; invece l’IA, sulla base del profilo fenotipico dei pazienti, riesce a combinare e a segnalare profili di persone adatte per la loro inclusione nei trial clinici. Molti studi randomizzati controllati vengono oggi fatti ricorrendo all’IA; attualmente nel mondo ce sono circa 84 in corso; un terzo di questi è condotto negli Usa, gli altri in Cina e in Europa. In Italia ce ne sono 4 e tutti in ambito gastroenterologico”. I Paesi più avanzati nell’introduzione dell’IA nella pratica clinica sono gli USA dove c’è una fortissima spinta da parte delle compagnie di assicurazione a migliorare tutti i processi clinici.
Non mancano gli ostacoli all’implementazione dell’IA di ultima generazione nella pratica clinica. Il primo da superare è la certificazione. “Nulla può essere utilizzato sui pazienti – ricorda Cabitza – che non sia stato prima certificato come dispositivo medico e dotato del marchio ‘CE’ in Europa. Questo significa superare tutta una serie di richieste degli enti certificati che richiedono studi, sperimentazioni, validazioni. La rimborsabilità è un altro snodo importante; questi sistemi hanno un costo e un ospedale deve trovare i fondi per poter adottare questi strumenti (negli Usa sono più diffusi perché sono pagati dalle compagnie di assicurazione). Poi c’è un problema culturale – prosegue Cabitza – perché bisogna saperle usare, interpretare l’output e utilizzarle in maniera proficua. Non tutti sono pronti ad accogliere cambiamento e innovazione. L’IA – prosegue Cabitza – avrà soprattutto un ruolo di democratizzazione: non servirà infatti tanto a migliorare le prestazioni dei centri di eccellenza superspecializzati in una malattia. Aiuterà piuttosto soprattutto i centri più periferici che vedono meno certe patologie. E sono proprio questi i centri che dovrebbero procurarsi l’IA, così da poter garantire anche ai loro assistiti un livello di assistenza alla pari dei centri di eccellenza”. C’è poi la questione medico-legale che in qualche modo rientra anch’essa nell’ambito culturale. “Si potrebbe verificare infatti – spiega Cabitza – un uso disfunzionale dell’IA da parte del medico, che potrebbe utilizzarla per un uso opportunistico, di medicina difensiva. Insomma il non andare a priori contro l’IA per paura di incappare in un contenzioso. Questo potrebbe portare i medici ad appiattirsi sulla raccomandazione dell’IA, anche quando potrebbe essere errata (perché anche l’IA può sbagliare!). Quindi è necessario trovare il giusto equilibrio tra un affidamento eccessivo e un pregiudizio contro la macchina, tra il medico che si fida troppo e quello che non si fida abbastanza (automation bias vs. decremental algorithm aversion bias ovvero ‘distorsione da automazione’ contro ‘avversione algoritmica decrementale’, una sorta di algoritmo-fobia). Sono due atteggiamenti opposti e contrari, entrambi dannosi, perché portano ad un utilizzo disfunzionale della tecnologia”.
L’Intelligenza artificiale del cuore
“Sono due gli aspetti importanti di sviluppo dell’intelligenza artificiale in cardiologia – afferma il dottor Fabrizio D’Ascenzo, ricercatore di tipo B, cardiologo interventista presso la Divisione di Cardiologia dell’Università di Torino, Ospedale San Giovanni Battista – Molinette – Il primo, quello sul quale ci stiamo molto focalizzando è la predizione del rischio, in quanto l’intelligenza artificiale cattura delle relazioni spesso non lineari e non causali e questo permette di esplorare e di aumentare in modo importante le relazioni tra variabili (le caratteristiche dei pazienti) ed endpoint come la mortalità, la sopravvivenza libera da infarto o i sanguinamenti maggiori. L’altro aspetto è la semplificazione della medicina. Ci sono esami molto costosi e poco disponibili, come la risonanza magnetica; l’IA ci permette di fare una predizione diagnostica attraverso immagini ottenute da esami meno costosi e di facile accessibilità, come l’ecocardiogramma o l’ECG, risparmiando al paziente la RMN. È un modo di andare verso la medicina personalizzata. C’è poi il capitolo dell’IA applicata all’imaging per affinare la diagnostica. Negli ultimi anni c’è stata un’esplosione di interesse per l’IA e nel nostro che è un dipartimento medico, abbiamo delle figure di informatici dedicati all’intelligenza artificiale”. La stratificazione del rischio di sanguinamento o di recidiva di infarto miocardico, dopo una sindrome coronarica acuta è fondamentale perché permette sia di prescrivere correttamente la terapia antiaggregante, che di seguire adeguatamente i pazienti. “Gli score di rischio che si basano sulle tradizionali analisi statistiche – riflette il dottor D’Ascenzo – hanno dei limiti legati prevalentemente alla difficoltà di catturare con precisione informazioni mutevoli nella normale evoluzione clinica dei pazienti. In questo setting il Machine Learning (ML) ha dimostrato una chiara superiorità rispetto alla statistica tradizionale, in quanto permette di oggettivare il rischio in maniera estremamente precisa. Lo score di rischio PRAISE, di recente pubblicato su Lancet dal nostro gruppo su più di 20.000 pazienti con Sindrome Coronarica Acuta (SCA) ha dimostrato un’ottima performance nella predizione di eventi avversi dopo SCA, sia per il rischio di mortalità (utile per un follow up ‘su misura’), che di ischemia/sanguinamento (utile per scegliere il tipo e la durata della doppia terapia antiaggregante). Insomma, anche in un setting clinico molto mutevole per definizione, il Machine Learning offre ottime performance per i pazienti. È necessario tuttavia capire – conclude D’Ascenzo – cosa cercare negli articoli scientifici o chiedere ad un fornitore di tecnologia, per capire se una qualsiasi applicazione a supporto delle decisioni è davvero utile nella pratica clinica oppure no. Ci accorgeremo che non è tutto oro quello che luccica, ma soprattutto dobbiamo considerare le nuove AI alla stregua di farmaci e quindi applicare la stessa mentalità di ‘tecno-vigilanza’.”
L’IA nella stratificazione del rischio dei tumori dell’apparato digerente
Considerate le preoccupazioni circa le minacce a privacy e sicurezza, l’intelligenza artificiale può essere utilizzata per migliorare l’assistenza in oncologia? “Di certo – afferma Renato Cannizzaro, professore associato di Gastroenterologia Università di Trieste e direttore SOC Gastroenterologia Oncologica e Sperimentale, Centro di Riferimento Oncologico IRCCS, Istituto Nazionale Tumori di Aviano – i rapidi progressi nell’intelligenza artificiale richiedono robusti regolamenti che in Cina, Europa e Stati Uniti devono ancora essere implementati. Tuttavia, i timori riguardanti la sicurezza, non annullano l’enorme potenziale dell’IA se sapremo cogliere il vantaggio di questa risorsa come potente amplificatore del potenziale umano. Si stima che il settore dell’intelligenza artificiale sanitaria passerà dai 15 miliardi di dollari del 2023, a 103 miliardi di dollari entro il 2028 e una sua vasta implementazione potrebbe portare a sostanziali progressi nella diagnostica predittiva, compresa la diagnosi precoce del cancro”.
Le neoplasie del tratto gastrointestinale superiore sono responsabili del 35% dei tumori gastrointestinali e di 1,5 milioni di decessi ogni anno, in tutto il mondo. Purtroppo, la sopravvivenza è ancora scarsa negli stadi più avanzati della malattia. La loro incidenza inoltre rimarrà elevata nel prossimo decennio per l’invecchiamento della popolazione. “Al momento – spiega il professor Cannizzaro – la diagnosi precoce e lo screening/sorveglianza dei pazienti ad alto rischio rappresentano il più importante intervento efficace per ridurre l’incidenza e la mortalità”. Un adeguato campionamento istologico consente la stratificazione del rischio per i pazienti con condizioni o lesioni precancerose. Tuttavia, l’endoscopia diagnostica del tratto gastrointestinale superiore ha una mancata diagnosi nel 10% dei casi (falsi negativi). Ma l’IA potrebbe aiutare a erodere il margine di queste mancate diagnosi. “L’applicazione in tempo reale dell’intelligenza artificiale per il rilevamento e la caratterizzazione delle neoplasie del tratto gastrointestinale superiore – spiega il professor Cannizzaro – si basa principalmente su algoritmi di deep learning che consentono l’estrazione automatica estrazione delle caratteristiche di input richieste per il riconoscimento delle lesioni. Un vantaggio unico del DL rispetto all’occhio umano – prosegue Cannizzaro – è la sua capacità di esplorare tutti i ‘pixel’ di ciascuna immagine, in tutte le immagini consecutive di un’endoscopia del tratto gastrointestinale superiore, senza alcuna mancanza transitoria di attenzione o stanchezza. L’IA evidenzia con un quadrato o un cerchio una lesione sospetta, suggerendo una diagnosi e differenziando clinicamente tra 2 o più diagnosi. Ma può anche prevedere la profondità di invasione di lesioni neoplastiche visibili e differenziare il tessuto neoplastico da quello non tumorale o dalla presenza di condizioni precancerose, come l’atrofia gastrica”.
Il cancro del colon retto (CRC) è il terzo tumore più comune al mondo, con alti tassi di incidenza nei Paesi ad alto reddito. “Il programma di screening endoscopico – afferma il professor Cannizzaro – può ridurre notevolmente l’incidenza e la mortalità del cancro del colon-retto. Il recente sviluppo di applicazioni di IA aiuterà i gastro-enterologi nei diversi aspetti dello screening, nella pratica quotidiana.
Il tumore del pancreas è uno dei tumori più difficili da diagnosticare poiché spesso è asintomatico finché non metastatizza. In uno studio pubblicato su Nature Medicine lo scorso maggio 2023, Davide Placido e colleghi, applicando modelli di IA sulle cartelle cliniche di 6,2 milioni di pazienti, sono stati in grado di individuare i soggetti ad alto rischio di sviluppare un tumore cancro del pancreas, fino a 3 anni prima rispetto a quanto riusciamo a fare al momento. L’IA insomma, con il suo continuo sviluppo, ha le potenzialità di rivoluzionare il modo in cui gli operatori sanitari diagnosticano, trattano e gestiscono i tumori.