“Il 16 maggio scorso, esattamente sei mesi fa l’alluvione in Emilia-Romagna con enormi danni alle infrastrutture, all’agricoltura, alle vie di collegamento con isolamento dei borghi appenninici In Emilia-Romagna il dato delle 80.000 frane censite è ormai largamente superato dopo l’alluvione in Romagna e i suoi Comuni sono largamente interessati da aree a rischio idrogeologico“: a ricordarlo è Paride Antolini, Presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna. “A 6 mesi dall’alluvione di maggio che considerazioni possiamo trarre? Cambiamento climatico si, cambiamento climatico no, siccità alluvioni che si susseguono, tornado, mareggiate, se dovessimo descrivere la situazione con un termine di uso comune diremmo che stiamo sclerando. Ricordiamoci che la stessa evoluzione dell’Homo sapiens è dovuta a fattori climatici. Le grandi civiltà sono nate o si sono estinte a causa di cambiamenti climatici. Il clima è stato uno dei fattori che ha spinto a emigrare, nel corso dei millenni, svariate popolazioni da una parte all’altra dell’Eurasia, contribuendo a determinare, di volta in volta, la fine dell’Impero Romano d’Occidente, la crisi dell’Impero Cinese o la nascita dell’Impero Ottomano“.
“Tornando a noi, a sei mesi dall’alluvione, al netto dei ristori previsti dal Governo, siamo in grado di modificare il nostro comportamento, le nostre abitudini? Abbiamo ormai capito che riuscire a pianificare il nostro territorio è un compito assai complesso – ha continuato Antolini – su un territorio molto vasto e diversificato; servono studi, indagini, modellazioni, interventi con opere, rinaturalizzazioni, e alla fine del percorso ci accorgeremo che non saremo riusciti a raggiungere, in tempi brevi, gli obiettivi desiderati. La manutenzione e la ricostruzione periodica delle opere richiedono risorse ingentissime, ricordiamo che in Emilia-Romagna abbiamo 3.000 km di arginature. Il cosiddetto approccio ingegneristico, utilizzato in tutte le Regioni indipendentemente dal colore politico, che intendeva gestire il territorio attraverso arginature, difese spondali, briglie, opere in genere, ci ha portato ad un sistema della gestione fluviale e territoriale costoso e inadeguato. Continuare su questa strada guardando gli eventi che si susseguono, gli ultimi in Toscana, Lombardia, Veneto, Friuli, non ci rassicura per nulla. Se non siamo in grado di fronteggiare gli attuali problemi, l’attuale rischio, come potremo fronteggiare i cambiamenti climatici che i meteorologi ci prospettano? Come mi diceva una giornalista della TV austriaca “a noi non interessa il colpevole ma le cause”, e allora ci accorgiamo che questa situazione è figlia di una lunga storia che inizia, in sordina con l’Unità d’Italia e prosegue con dei salti dopo la grande guerra e con il boom economico. Nessun politico può permettersi di dire “non è colpa mia”, nessun cittadino che ha beneficiato del diffuso benessere può puntare il dito contro l’altro. Quello che attualmente si sta cercando di fare sono azioni che cercano di ridurre le fragilità, cercano di restaurare un territorio duramente colpito, ma lo si fa con la prospettiva di migliorare il sistema? La risposta è né si, né no, intervenire adeguatamente vorrebbe dire interferire con il tessuto antropico estremamente sviluppato, intervenire sull’economia, sugli interessi dei singoli e dei gruppi, sulle comunità, e sugli equilibri politici; occorre quindi cercare soluzioni per rompere il meno possibile il tessuto socioeconomico attuale. Dobbiamo però metterci in testa che anche le città dovranno essere modificate, pensare che l’acqua resti negli attuali alvei, che il nostro attuale sistema fluviale-torrentizio con le sue difese riuscirà a superare i prossimi eventi è una speranza che non possiamo permetterci. Dobbiamo imparare a vivere con un concetto, IL RISCHIO RESIDUO, fino ad ora ignorato e cercare di ridurlo in tutti i modi“.
“Teniamo ben presente un concetto, occorre ridare spazio ai fiumi in modo significativo e quindi concepire un sistema di difesa diverso, limitare il sistema arginale in altezza per evitare gravi danni da rotture, integrare e modificare l’uso del suolo e attività produttive in ampi spazi di destinazione fluviale. La sfida è appena iniziata speriamo di percorrere la strada giusta,” ha concluso Antolini.