Attività vulcanica e anossia marina: le ragioni dell’estinzione di massa nel Permiano

Un nuovo studio sostiene la teoria secondo cui un significativo vulcanismo che ha rilasciato abbondanti quantità di CO2 nell’atmosfera è alla base dell'estinzione di massa nel Permiano
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Le estinzioni di massa sono rapide diminuzioni globali della biodiversità della Terra, con cinque eventi chiave identificati nel corso della storia del pianeta, probabilmente il più famoso dei quali si è verificato circa 66 milioni di anni fa durante il Cretaceo. Tale estinzione pose fine al regno dei dinosauri. Tuttavia, la più grande estinzione di massa è attribuita al Permiano, durante il quale si stima che sia stato cancellato oltre il 95% di tutta la vita sulla Terra.

La causa di questo evento devastante è ancora dibattuta. Alcuni sostengono l’impatto di un grande asteroide che ha causato l’accumulo di polvere nell’atmosfera, bloccando la luce solare e generando piogge acide, mentre altri un significativo vulcanismo che ha rilasciato abbondanti quantità di CO2 nell’atmosfera e reso gli oceani tossici per la vita marina.

Una nuova ricerca pubblicata su Chemical Geology fornisce ulteriore supporto a quest’ultima teoria. Yu Wang, dell’Università di Nanchino, e colleghi hanno condotto esperimenti geochimici su campioni di sedimenti ottenuti dalla cava di Zhigao, nella regione dell’alto fiume Yangtze, in Cina. All’interno dei campioni, gli scienziati hanno identificato un’importante anomalia del mercurio, ospitato nella materia organica, associata a un picco degli isotopi del carbonio.

Questa escursione negativa dell’isotopo del carbonio-13 viene interpretata come causata da massicci rilasci di carbonio nell’atmosfera, probabilmente dovuti a eruzioni vulcaniche, e questi eventi sono anche una delle principali fonti di mercurio in natura. Infatti, il periodo di questa escursione coincide con la nota attività vulcanica del Trappo Emeisciano, nel Sichuan, una vasta area (di oltre 250.000km2) di effusioni di basalti che creano una vasta provincia ignea.

Oligoelementi come molibdeno, uranio e vanadio all’interno dei campioni di sedimenti sono suscettibili a condizioni riducenti e ossidanti, con tre picchi evidenti indicativi di condizioni anossiche quando gli oceani erano poveri di ossigeno disciolto. In aggiunta a ciò, un significativo abbassamento del livello del mare globale durante il Capitaniano (circa 264-259 milioni di anni fa) è evidenziato dal carbonio organico di origine terrestre, mentre rapporti più bassi degli elementi cadmio e molibdeno suggeriscono una risalita di acque fredde e ricche di nutrienti.

I dati geochimici e il declino delle alghe calcaree e dei foraminiferi fusulinacei nei campioni di selce, argillite e calcare indicano anossia marina e stratificazione più pronunciata della colonna d’acqua. In tali condizioni, è probabile che si siano sviluppate zone di minimo ossigeno, con aree persistenti di condizioni di carenza di ossigeno che avrebbero inibito la sopravvivenza degli organismi.

Un modello vulcanico-climatico-oceanico

Il gruppo di ricerca propone un modello vulcanico-climatico-oceanico in tre fasi per spiegare come il vulcanismo su larga scala abbia portato a una crisi biotica negli oceani durante il Capitaniano, fino all’estinzione di massa definitiva della fine del Permiano. Nella fase 1, il sito di studio faceva parte di una piattaforma carbonatica collegata all’oceano Paleo-Tetide, situata lungo il margine settentrionale dell’antico supercontinente Gondwana. Questo ambiente marino poco profondo e ricco di ossigeno ha sperimentato una vigorosa circolazione oceanica con risalita di acque ricche di sostanze nutritive ideali per la prosperità della vita marina, con prove di alghe, brachiopodi e coralli nelle sezioni dell’alto Yangtze.

Durante la fase 2, il vulcanismo iniziò nel primo Capitaniano, con il significativo rilascio di gas serra con conseguente riscaldamento del clima di 3-5°C. Ciò ha coinciso con l’innalzamento del livello del mare causato dalla subsidenza regionale, esacerbando così la stratificazione della colonna d’acqua e l’anossia marina poiché gli oceani più caldi hanno ridotto la concentrazione di ossigeno disciolto. Mentre i nutrienti venivano portati in superficie dall’attività vulcanica, la produttività primaria sulla superficie dell’oceano consumava la maggior parte di questo ossigeno per la respirazione e la decomposizione della materia organica, generando zone minime di ossigeno sottostanti.

La fase 3 è caratterizzata da un declino del vulcanismo e da un ritorno a condizioni marine meno profonde, con un aumento della materia organica trasportata dalla terra all’oceano, nonché una circolazione marina rinvigorita. Ciò ha consentito agli organismi marini di riprendersi dalle condizioni anossiche ostili e di evolversi in nuove nicchie ecologiche.

Gli scienziati suggeriscono che ora siamo nel bel mezzo di una sesta estinzione di massa, ed è di vitale importanza continuare a esplorare il ruolo che il vulcanismo può svolgere nel far pendere l’ago della bilancia verso un’altra crisi per il nostro regno marino.​

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